La telecamera ha scovato una figura curiosa, incastonata in un ambiente magnifico: magro, cappelli e barba lunghi e una straordinaria umiltà.
Si chiama Moreno Torricelli e pochi direbbero che, quest’uomo, sia stato un campione di calcio: ha vinto quasi tutto (tre scudetti, due coppe italia, due supercoppe italiane, una coppa Uefa, una Champions League, una supercoppa Uefa e una coppa intercontinentale) ma ha avuto una vita e una carriera sicuramente anomala.
Il principio è classico di ogni giocatore, non proveniente da un vivaio importante: pulcini dell’US Folgore, campionato allievi regionali col Como, Oggiono in “Promozione” e Caratese in “Serie D”.
Fu proprio durante il campionato con la squadra brianzola, che il destino bussò alla sua porta: durante un amichevole con la Juventus, Giovanni Trapattoni si “innamorò” follemente di lui e, dopo un periodo di prova, lo gettò nella rosa della squadra bianconera.
Per Moreno il calcio era soltanto un hobby, era falegname di professione, ma improvvisamente la sua vita cambiò: fu acquistato per la modica cifra di cinquanta milioni di lire (pochi per la Juve ma “pesanti” per la Caratese).
Dopo varie convocazioni in nazionale, nel 1998 ebbe l’onore di essere convocato al mondiale in Francia: lo stesso anno seguì il suo mentore Trapattoni e si spostò a Firenze ma infine nel 2003, a seguito del fallimento dei gigliati (e dopo un periodo di disoccupazione), si trasferì in Spagna (all’Espanol).
L’umiltà dell’uomo si dimostrò anche al ritorno dalla Spagna, quando, dopo un lungo periodo di fulgore, decise di accasarsi ad Arezzo (la compagine amaranto militava in serie B): nel 2006 fu di nuovo disoccupato e quindi decise di appendere le scarpette al chiodo.
La carriera di allenatore fu sempre sottotono: dopo un iniziale periodo agli esordenti regionali della Fiorentina, si spostò alla Pistoiese (dove subì la retrocessione dalla Lega Pro, solo ai play out) e infine si stabilì dai toscani del Figline, ove purtroppo dovette abbandonare la panchina per motivi famigliari (la squadra era già avviata verso la finale di Coppa Italia della categoria).
Innamorato follemente di sua moglie, fu costretto a subirne il travaglio della malattia tumorale: smettè quindi di allenare, per starle vicino fino alla fine (si spense a soli quarant’anni, lasciandolo con tre figli piccoli).
Tale forse è il dolore che l’ex falegname, non abbandonando mai l’umiltà degli esordi, decide di stabilirsi in Valle D’Aosta, osservando, per hobby, la squadra giovanile (Pont-Donnas/ Hone Arnad) del suo paese, Lilianes: preferisce fare il papà e curare i propri figli.
E’ contento della sua vita attuale e della carriera passata: il segreto ? rimanere sempre e comunque se stessi.
Un segreto autentico ma che in pochi riescono a perseguire: tanti giocatori del passato si contraddistinguevano per una vita tranquilla (quasi bizzarra) ma Torricelli, è sempre giusto ricordarlo, fu un grande campione.
Rey Brembilla
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