Cina, oltre al danno la beffa.
La tratta è iniziata: le donne vengono vendute agli scapoli delle campagne affinché possano procreare. Non bastavano la tradizionale preferenza per i nascituri maschi e la legge del figlio unico che ha portato ad uno squilibrio tra i due sessi. L’idea che i cinesi hanno delle donne sta progressivamente peggiorando. Il trend a lungo termine previsto dagli esperti ha trovato terreno fertile in un Paese in cui l’infertilità generazionale regna sovrana.
In Cina il sesso debole ha sempre dovuto subire la maledizione di essere nata donna. Che fossero figlie, mogli o madri, il risultato non cambiava. Le bambine venivano letteralmente soppresse, prima o dopo la nascita; le mogli perdevano la loro famiglia d’origine per dedicarsi unicamente a quella del marito; le madri venivano picchiate se mettevano al mondo una femmina. Il maschio, invece, era colui che poteva lavorare e portare avanti la generazione. Attualmente la situazione è migliorata, almeno sotto questo punto di vista. Oggi le donne possono lavorare in qualsiasi contesto, come gli uomini, e possono ricoprire qualsiasi ruolo.
La legge del figlio maschio, una politica durata trent’anni in Cina, ha congegnato una nuova forma mentis tra la popolazione. Il limite ad un unico soggetto per la continuazione della discendenza ha decretato l’abbandono o la morte di numerose bambine. Sono gli stessi genitori a scegliere l’aborto selettivo o l’abbandono ad orfanotrofi. Sono circa ottantaseimila i bambini e le bambine cinesi adottati all’estero, in particolar modo negli Stati Uniti, dove è nato il movimento “Women’s rights without frontier”. Molti, purtroppo, vengono venduti da gruppi criminali a prezzi che vanno dai 30.000 yuan (circa 3500 euro) per una bambina ai 50.000 yuan per i maschi (circa 6000 euro).
L’ultimo censimento vede nascere 110 uomini ogni 100 donne. Facile il calcolo. Mancano donne per la mole di maschi presenti sul territorio. Ed ecco la soluzione. La tratta di donne dai paesi poveri vicini. Si legge dal report de La Stampa “Si tratta di agenzie che agiscono in modo legale e aperto e che offrono in particolare donne vietnamite a uomini delle campagne cinesi, promettendone la verginità e docilità e la sostituzione con altre ragazze se dovessero fuggire” . Numerosi i casi a “lieto fine” riportati sui giornali del Paese, peccato che non evidenziano la gravità della situazione reale. Su dieci che vengono liberate, cento sono costrette in condizioni barbariche (per evitare fughe) nelle campagne unicamente per assicurare una progenie a scapoli disposti a pagare ingenti somme di denaro. Vengono rapite per le strade o attirare con false promesse di lavoro. I Paesi da cui sono sottratte sono principalmente Vietnam, Mongolia, Birmania e Corea del Sud.
Oggi si assiste a una società in trasformazione. Un cambiamento paragonabile a un “pezzo di stoffa per sigillare un buco”; un buco generazionale che dura da decenni – avvallato anche dalla tradizione – la cui risoluzione potrà trovarsi unicamente con altrettanto tempo. Non basta vietare le ecografie per aborti selettivi o incentivare le coppie ad avere figlie femmine attraverso la donazione di incentivi. È l’idea della donna che deve acquisire un valore agli occhi della società cinese. Si tratta di un diritto non elargibile per un motivo così squallido: pecunia di “corpi femminili” atti a procreare progenie.
Roberta Santoro
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