“Me ne fregava solo della musica, mi interessava solo quello. Ho sempre creduto di avere qualcosa di importante da dire e l’ho detto. E’ per questo che sono sopravvissuto, perché ancora credo di avere qualcosa da dire. Il mio Dio è il rock’n’roll. E’ un potere oscuro che ti può cambiare la vita”.
Un mito, un servo fedele di quel “potere oscuro che ti può cambiare la vita”: il Rock!
Lou Reed continua a sfornare successi dopo quarant’anni di attività; camaleontico, ha saputo adattarsi ai tempi, allo stile di vita sfrenato e fuori dagli schemi, senza soccombere. Il suo nome è già leggenda e le sue canzoni successi senza tempo. Il New York city man, l’inventore del rock decadente, è in continua trasformazione e conserva lo spirito ribelle che lo ha animato fin dagli inizi della sua carriera. Nato il 2 marzo 1942, Lewis Allen Reed è originario di una famiglia ebraica di Freeport, Long Isaland. A cinque anni comincia a suonare il pianoforte, ma ben presto scopre una più grande affinità e una profonda passione per la chitarra. La musica gli scorre nelle vene e con essa anche la voglia di ribellione. Nel 1956 i genitori di Lou, tuttavia, preoccupati per il carattere del figlio, per le sue pose effeminate e provocatorie, scelgono di sottoporlo ad una terapia di elettroshock. Le scariche elettriche intensive provocavano nel giovane perdita di memoria e di orientamento; per lunghi mesi Lou non sarà neanche in grado di leggere. Quest’esperienza traumatica non solo non guarisce il giovane, ma anzi ne esaspera la componente più combattiva e lo porta a provare verso i genitori solo un gran rancore, che si esprimerà in molte canzoni (nel 1974, Kill your sons). Agli inizi degli anni 60, Lou si allontana da Freeport e inizia a frequentare la Syracuse University, luogo fondamentale per la crescita umana e artistica del cantante. Al college Lou conosce il professor Delmore Schwartz, poeta alcolista, che lo prende in gran simpatia; fra i due si instaura un rapporto importante e, nel 1966, il ragazzo dedica al suo mentore la canzone European Son, inclusa nell’album d’esordio dei Velvet Underground. Grande passione Lou mostra per i poeti maledetti, per tutto ciò che di cinico e corrosivo si manifesta nel mondo e gli scorre tra le mani; pian piano si costruisce l’immagine di un ragazzo bizzarro, trasgressivo, turbolento, ambiguo. Conduce una vita sregolata, fatta di alcol, droga e esperienze omosessuali. Dopo la laurea Reed si sposta a New York e diventa un compositore professionista per la Pickwick Records; il lavoro durerà poco, ma gli permetterà di conoscere un musicista pagato dalla Pickwick per una session: John Cale. Lasciato l’impiego, Lou si impegna a mettere su una band d’avanguardia con il suo nuovo amico e recluta altri due componenti: Sterling Morrison e Maureen Tucker. Nascono così i Velvet Underground, il cui nome viene ispirato da un libro giallo trovato nella spazzatura. Il loro successo è tale che l’artista Andy Warhol gli farà da manager, promotore e finanziatore del primo album: “The Velvet Underground and Nico”, 1967. Lou compone veri e propri testi “beat”, canta di personaggi venuti dalla strada, di droga, di perversioni che a quell’epoca erano veri e propri tabu. Nel 1968 due grandi cambiamenti: via Warhol e John Cale, che partecipa al secondo album “White light / White heat” -più sporco del precedente-, ma è sostituito da Doug Youle nel terzo, uscito l’anno successivo: “Velvet Underground”. Nel 1970 esce “Loaded”, nel quale la maggior parte dei brani è incisa da Youle poiché Lou contrae un’epatite che gli fa perdere quasi del tutto la voce. Insoddisfatto, prima che l’album uscisse sul mercato, il giovane abbandona il gruppo e torna dai genitori a Freeport. Vive momenti di grande sconforto e depressione, prova ad allontanarsi dalla musica e a darsi ad altro, ma il richiamo delle note è più forte e quando un dirigente della casa discografica dei Velvet lo ricontatta, si lascia convincere facilmente e parte per Londra dove incide il suo primo album da solista: “Lou Reed”. In questo periodo conosce David Bowie, fondamentale influenza per la sua carriera musicale. Le due rockstar decidono di collaborare: Bowie e il chitarrista Mick Ronson prendono Lou e lo ricompongono, arricchendolo: nasce così, nel 1972, “Transformer”. Successo clamoroso, il disco sforna singoli divenuti ormai classici del rock come “Walk on the wild side” e “Perfect day”. Lou diviene un artista ricercatissimo, ma se il successo da un lato lo attrae, dall’altro lo terrorizza. “Transformer” non rispecchia in toto l’animo del cantante che, nel 1973, incide un album molto più cupo: “Berlin”, racconto di una coppia di tossicodipendenti americani trasferiti a Berlino. Per conquistare il pubblico americano, nel 1974 Reed realizza “Sally can’t dance”, subito nella top 10 statunitense. Gli anni 80 conoscono un Lou sperimentale, meno oscuro e che risente anche dell’incontro che in parte gli cambierà la vita: sua moglie Sylvia. Nel 1989, però, il matrimonio entra in crisi, muore Warhol e contemporaneamente Lou perde due cari amici: duri colpi che lo portano a comporre l’album più introspettivo e profondo della sua carriera: “Magic and Loss”, 1992. Nel 1993 il colpo di scena: reunion dei Velvet Underground e successivo tour mondiale. Le tensioni nel gruppo, tuttavia, non sono appianate; restano vivi i contrasti che si acuiscono con la morte di Sterling Morrison: per i VU è di nuovo la fine. Subito dopo lo scioglimento della band, Reed divorzia e comincia a frequentare la cantante Laurie Anderson a cui dedica “Set the twilight reeling”, nel 1996. Nel 2000 esce “Ecstasy”, che vede un Reed più maturo e, nel 2003, “The Raven”, doppio album che rivisita in chiave rock i racconti di Edgar Allan Poe, ma in generale tutta la vita del poeta e le sue opere. Nel 2008 Lou Reed è inserito al 62° posto nella lista dei 100 migliori cantanti, su Rolling Stone. Il 31 ottobre 2011 nasce la sua ultima (per ora) fatica: “Lulu”, che vede il cantante collaborare con i Metallica. We waiting for the Man…
Antonio Gargiulo
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