Siamo al secondo meeting con il Dott.Lops
Oggi parliamo di Global debat in economia: uno degli esponenti delle élite globali,
George Soros pur sposando la tesi globalista forte non ne
condivide l’ottimismo, mettendo in luce l’asimmetria fra i mercati
globalizzati e ritardo delle istituzioni economico-politiche
internazionali che faticano a frenare speculazione diseguaglianze,
così come l’ex vicepresidente della Banca Mondiale Joseph
Stiglitz che muove le sue riflessioni dalle medesime posizioni. Alla
visione dell‟automatismo del mercato unico spontaneamente
autoregolatosi, torna ad affiancarsi l’esigenza d‟interventi di
natura politica, la tesi della forma dello Stato nazione fa spazio a
quella della regolazione e governance.
Ci dia un suo punto di vista.
La teoria del mercato che si autoregola in modo spontaneo ed efficace è,
purtroppo per gli ideatori, rimasta una teoria.
Alla prova dei fatti il mercato ha dimostrato sì di sapersi autoregolare ma
con un caro prezzo da pagare: quello di alimentare le disuguaglianze
sociali.
Se quindi nell‘idea (o forse dovremmo meglio dire ideologia) dei teorici del mercato libero che si autoregola, era anche previsto il meccanismo
perverso del favorire – nel processo diautoregolazione – il trasferimento della ricchezza globale nelle mani di una ristretta élite di capitalisti
finanziari e di multinazionali, allora possiamo dire che la teoria è compiuta.
Altrimenti, l‘esperimento del mercato libero e perfetto nella sua capacità di autoregolarsi non può dirsi riuscito.
E‘ una questione di obiettivi e punti di vista.
Se l‘obiettivo è favorire lo sviluppo del Pil potenziale globale eliminando distorsioni di ricchezza oggi abbiamo la prova provata che il neo-liberismo non può essere più la
strada da seguire.
Sono passati oltre trenta anni da quando questo modello si è diffuso nel
sistema economico e culturale. Dopo tutto questo tempo possiamo riscontrare che nei Paesi che erano già sviluppati negli anni ‘80 (prima quindi che questo modello attecchisse) abbiamo oggi una distribuzione del reddito più diseguale.
L‘indice Gini o l‘indice Palma – due misure che evidenziano la discrepanza di ricchezza tra la fascia più agiata della popolazione e il ceto medio-basso – evidenziano inesorabilmente che il modello neo-
liberale favorisce questo trend.
A mio avviso la teoria del trickle-down o teoria della goccia – secondo la quale i benefici economici elargiti a vantaggio dei ceti abbienti favorisce
a cascata l‘intera società e quindi anche le classi medio basse, molto più che un effetto inverso – ha perso la sfida empirica e può tranquillamente
regredire allo status di ipotesi.
Questa teoria, al pari dell‘impianto stesso del neo-liberismo, non contempla nel suo algoritmo le profonde distorsioni generate dalla
finanza nell‘economia reale.
La finanza è nata per dare un sostegno all‘economia reale..
L‘economia reale si sviluppa in modo più rapido e armonico se è possibile dare un prezzo a qualsiasi bene (primo esempio di funzionamento sano della
finanza) e se è possibile anche regolare le transazioni nel tempo a fronte di un margine di interesse (altro esempio di funzionamento sano della finanza).
Oggi invece la finanza ha preso il sopravvento.
I prodotti derivati finanziari valgono circa dieci volte il Pil del pianeta e ci sono alcune banche che hanno in pancia una quantità di titoli derivati
fuori dal buon senso.
Ad esempio Deutsche Bank in questo momento ha iscritto in bilancio titoli derivati cinque volte superiori al Pil prodotto dai Paesi che compongono l‘Unione europea. Com‘è possibile che una banca che
raccoglie il risparmio dei cittadini possa contemporaneamente essere libera di allocarlo in titoli tossici?
La finanza ha preso il sopravvento sull‘economia reale e, c‘è da aggiungere, non va dimenticato l‘aspetto perverso della finanza ombra.
E‘ stimato oggi che gli scambi sui mercati ombra o over the counter (ovvero non regolamentati) siano ormai quasi la metà di quelli che avvengono nel ring regolamentare internazionale.
La sensazione è che le banche centrali abbiano perso il controllo della finanza e che questo nei prossimi anni possa innescare lo scoppio di
nuove bolle speculative che altro non farebbero che acuire il divario tra le classe agiate e il ceto medio-basso, soprattutto nel momento in cui i
salvataggi finanziari vedrebbero l‘intervento degli Stati attraverso il meccanismo della socializzazione delle perdite.
E‘ vero che in Europa è stato introdotto il bail-in nel 2016 (un meccanismo che prevede che entro certi limiti il salvataggio delle banche
sia a scapito di azionisti, obbligazionisti e clienti della banca) ma è anche vero che ci sono degli istituti di credito talmente forti e globalizzati che
rientrano nella categoria dei cosiddetti ―to big to fail (troppo grandi perché falliscano).
Difficile ipotizzare quindi che sia evitabile, nel caso di fallimento di una multinazionale bancaria, il meccanismo di socializzazione delle perdite
(anche in presenza della nuova regolamentazione del bail-in).
Questi esempi dimostrano che è necessario scrivere una nuova governance a partire dal mondo finanziario e a cascata su quello degli
scambi commerciali.
Tra le riforme prioritarie c‘è quella che avanza da qualche tempo lo stesso Stiglitz, in altre parole separare le banche tradizionali (il cui
business è ricevere liquidità dai correntisti e impiegarla nell‘economia reale sotto forma di prestiti a famiglie e imprese) e banche d‘investimento (il cui obiettivo è operare sui mercati finanziari
comprando svariate classi d‘investimento, anche a fini puramente speculativi e di trading).
A partire dagli anni ‘80 queste due funzioni sono state accorpate.
A causa di ciò nel 2008 è scoppiata negli Usa una delle più grandi crisi bancarie della storia (culminato con il fallimento da 640 miliardi di
dollari di Lehman Brothers).
E oggi in Europa ne stiamo pagando le conseguenze dato che siamo di fronte a una crisi irrisolta del sistema bancario (le banche italiane sono
cariche di crediti deteriorati e quelle tedesche di derivati tossici).
Perché ci si ostina ancora a non separare le banche tradizionali dalle banche di investimento? Sarebbe il primo decisivo passo verso una nuova
governance finanziaria che stimolerebbe anche modifiche alla globalizzazione degli scambi commerciali per cui a mio avviso sarebbe
più adeguato preservare gli Stati-nazione e porre un freno al processo di deregolamentazione.
Non si tratta di ritornare al protezionismo ma di volgere, appunto, verso una globalizzazione ―intelligente.
PATRIZIA DIOMAIUTO
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