Eccoci giunti all’ ultimo appuntamento con il dott.Vito Lops.
Dott. Lops, tra i fattori che minano la stabilità e la sopravvivenza delle democrazie occidentali sono senza dubbio il capitalismo finanziario “estremo”che sta producendo immense distorsioni
sociali e la capacità dei governi di avvalersi di tecnologie per spiare i cittadini (ricordiamo il caso emblematico Snowden/datagate).
Nel contesto in cui viviamo, penso si possa parlare di post democrazia, sono proprio lo sviluppo esponenziale dei mezzi di
manipolazione della società attraverso la gestione dei flussi d’informazioni e le dinamiche dell’economia globalizzata a rendere la democrazia in senso classico, sostanzialmente impossibile fino al momento in cui tali condizioni non muteranno.
Ebbene in tale contesto possono sopravvivere le democrazie senza essere del tutto snaturate?
Il capitalismo finanziario estremo è la vera minaccia per le democrazie.
Il meccanismo di travaso di ricchezza dai risparmiatori ai grandi investitori è rapido e violento. In più, dato che scarsamente regolamento,
è in grado di alimentare frequentemente delle bolle finanziarie che quando scoppiano alimentano il meccanismo perverso dei vasi comunicanti con la ricchezza che transita agevolmente dal ceto medio-
basso alla ristretta cerchia di grandi investitori.
In più, rincresce ammettere che le politiche recentemente attuate dalle banche centrali dei Paesi sviluppati per uscire dalla crisi economica
innescata dalla bolla sui derivati subprime negli Usa del 2008, stiano a conti fatti accentuando le distorsioni sociali. In che modo?
Le principali banche centrali hanno attuato politiche di espansione
monetaria conosciute con il termine ―quantitative easing (allentamento monetario).
In pratica le banche centrali, la Federal Reserve statunitense e la Bank of England dal 2009, la Bank of Japan dal 2013 e la Banca centrale europea
dal 2015, hanno iniziato a comprare titoli di Stato e privati sui mercati aperti. In questo modo hanno immesso liquidità sui mercati finanziari e
hanno ridotto i rendimenti sui titoli di Stato al fine di spingere le banche a prestare più soldi all‘economia reale (famiglie e imprese) anziché destinarli in attività finanziarie.
Questo era l‘intento ma in realtà l‘economia è ripartita solo negli Usa e in Gran Bretagna, ma solo perché nel frattempo questi Paesi hanno
accompagnato la politica monetaria espansiva con una altrettanto espansiva politica fiscale (deficit/Pil vicino al 10% per 3-4 anni).
In Europa invece i vincoli di bilancio non consentono ai Paesi di azionare oltremodo la leva del deficit (anche durante le crisi).
Questo principio di austerità ha vanificato in parte gli sforzi di politica monetaria della Bce. Ed è questo il motivo per cui l‘Eurozona fa fatica a risollevarsi e combatte ogni giorno con lo spettro della deflazione.
A ciò si aggiunge che nell‘Eurozona (in particolare nei Paesi della periferia) da quando è in atto il quantitative easing (2015) il divario tra
ricchi e poveri (misurato dall‘indice Palma) è aumentato.
Ancora grazie del suo prezioso tempo.
Patrizia Diomaiuto
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