L’universo femminile iraniano viene ricordato sempre nel caso di vicende drammatiche. Dopo Ameneh Bahrami, donna sfigurata da un pretendente rifiutato, negli ultimi giorni si torna a parlare di Sakineh Mohammadi Ashtiani. Sono sette anni che ogni tanto il suo nome torna a farsi sentire. Tutti ricorderemo di folle riunite nelle piazze europee per salvare questa donna dalla pena di morte.
Sakineh è stata arrestata nel 2005 con l’accusa di omicidio di Ebrahim Qaderzadeh, il marito. I figli della coppia, nonostante avessero il diritto di avviare azioni legali contro la madre – secondo l’articolo 205 del codice penale iraniano – le sono rimasti accanto. Per ovviare a questa mancanza di “giustizia”, Sakineh è stata condannata a dieci anni di prigione per presunto concorso in omicidio. Quattro anni più tardi il “presunto concorso” è stato commutato in “complicità”, riducendo la pena a cinque anni. Fin qui tutto bene! Tornando indietro al 2006 sorge una nuova accusa: adulterio durante il matrimonio, oltre a relazioni illecite con due uomini. Per quest’ultima la pena prevedeva 99 frustate in presenza del figlio Sajjad. Ma la prima annulla tutto con la pena di morte tramite lapidazione. Diverse le richieste di clemenza, per due volte la Corte suprema le ha respinte. Nel 2010 la pena è stata momentaneamente sospesa per riesaminare il caso, a seguito delle numerose richieste internazionali.
Oggi risiede nella struttura carceraria di Tabriz, nell’Azerbaigian orientale. Non viene rappresentata legalmente, in quanto al suo avvocato è stato revocato il diritto ad esercitare dopo l’arresto. La notizia degli ultimi giorni, emanata dall’agenzia iraniana Isna, prevede un cambio di pena. Si legge “esperti islamici stanno rivedendo il caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani per valutare se l’esecuzione può essere eseguita per impiccagione”. In quanto, come “frainteso” dal capo della magistratura locale – Malek Ajdar Sharifi – “non vi sono strutture adatte per lapidarla”. Abbiamo inserito il malinteso nell’affermazione precedente proprio perché c’è stata una smentita in meno di due giorni. A quanto risulterebbe, l’idea di commutare la pena in impiccagione sarebbe stato un consiglio dell’ayatollah Sadeq Larijani – capo della giustizia iraniana.
Intanto l’Italia si mobilita, nuovamente, affinché questa donna possa essere liberata. Si richiede l’intervento dell’Unione Europea e di tutte le associazioni internazionali per i diritti umani. Taher Djafarizad – attivista dell’ong “Neda Day” – è convinto, infatti, dell’enorme contributo che l’opinione pubblica italiana ha dato affinché Sakineh non fosse impiccata. “Queste iniziative – precisa Djafarizad – sono fondamentali per salvare la vita di Sakineh e delle altre Sakineh iraniane. L’appello è riuscito a fermare la mano del boia. Il merito è di tutti, anche dei sindaci che rappresentano tutti gli italiani”.
Roberta Santoro
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