“Questo è per i folli, per gli anticonformisti, per i ribelli, per i piantagrane, per i quattrocchi. A tutti coloro che vedono le cose in maniera differente. A tutti coloro che non amano le regole, a coloro che non rispettano lo status quo, potete citarli, essere in disaccordo con loro, glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potete mai fare è ignorarli. Perché loro cambieranno le cose, fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo la genialità. Perché coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambieranno davvero.” (Ashton Kutcher in “Jobs”)
Riuscire a portare sullo schermo la storia di Steve Jobs è stato un tentativo, ma anche una sfida abbastanza azzardata da parte del regista Joshua Michael Stern. Difatti condensare in poco meno di due ore oltre trent’anni di vita professionale dell’inventore di Apple Inc. comporta per necessita di sceneggiatura cercare di focalizzare l’attenzione sugli aspetti che si intende ricordare, e inevitabilmente escluderne alcuni . Eppure in questo biopic su uno dei più grandi inventori degli ultimi anni – e che ha rivoluzionato il nostro modo di intendere la tecnologia – ci sono mancanze che a nulla possono essere compensate dalla somiglianza indiscutibile o dalle movenze riprodotte in modo similare dal trentacinquenne attore statunitense Ashton Kutcher.
Steve Jobs verrà ricordato non solo per ciò che ha dato al mondo della tecnologia, ma anche per la sua storia personale e professionale e per la sua forte personalità capace di riuscire ad arrivare, come lui stesso diceva, “al cuore delle persone”. E non a caso non sarebbe stato possibile dirigere un film su Jobs senza inciampare in una sorta di agiografia, indispensabile per tracciare i caratteri di questo personaggio così controverso, che o lo si ama o lo si odia, senza mezze misure.
Le vicende del film prendono l’avvio il 23 settembre 2001 quando Jobs presenta ufficialmente il progetto a cui ha lavorato con un giovane designer: l’ IPod, lettore di musica digitale che ha modificato per sempre l’industria musicale.
Da qui veniamo catapultati indietro nel tempo, al 1974, gli anni del collage. Ci viene presentato un giovane Jobs che non mostra nessun interesse verso i corsi proposti dall’università. Sarà l’incontro con Steve Wozniak (Josh Gad), un cervellone che si diverte ad utilizzare un terminale che usufruisce lo schermo del televisore come monitor, a cambiare il corso della sua vita. I due continuano a lavorare insieme alle loro invenzioni, nel garage di casa di Jobs (che è anche il set di diverse scene del film), che a tutti gli effetti è anche la prima sede dell’Apple. Successivamente ottengono un finanziamento da un industriale, Mike Markkula (Dermot Mulroney), che versa nelle casse della società un ingente somma di denaro e che è il primo a credere nelle potenzialità del duo Jobs-Woz. Giungiamo in maniera molto veloce alla presentazione de loro secondo computer, Apple II. Assistiamo così progressivamente alla “creazione” di un Jobs dirigente d’azienda. Non più il giovane universitario intelligente e scaltro, bensì un vero e proprio imprenditore che guarda al bene e all’interesse della sua società.
Ciononostante la trama ha dei buchi che è impossibile non notare. Innanzitutto il personaggio di Wozniack che, nella prima parte della pellicola è un co-protagonista a tutti gli effetti, viene invece lasciato ai margini nella seconda parte della storia. La questione di plagio e le conseguenti iniziative legali intentate da Jobs a Bill Gates, e che riguardano la lotta Microsoft-Apple, nel film non sono state affrontate come dovevano, risolvendosi in una semplice telefonata intimidatoria di Jobs a Bill Gates. Ed ancora, nessun accenno alla Pixar, casa di produzione cinematografica , acquistata da Jobs nel 1986. In definitiva il biopic su Steve Jobs, lasciando fuori alcuni aspetti della sua vita personale e professionale, si configura più che altro come la storia della creazione di Apple e del rapporto complicato che il suo creatore ebbe con essa, e che nel 1985 gli procurò l’espulsione, nonché le dimissioni dalla società da lui stessa ideata. Lodevole l’idea di Joshua Michael Stern che tuttavia però si sofferma più sull’immagine di Jobs, approfondendo poco l’uomo Jobs, su cui ci sarebbe molto da dire.
Maria Scotto di Ciccariello
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