Il 18 giugno di tre anni fa si spegneva uno dei più grandi padri della letteratura contemporanea: il portoghese José Saramago.
Nato a Azinhaga il 16 novembre 1922, rimase in questa terra per pochi anni. Nel 1924, infatti, si trasferì con la famiglia a Lisbona dove il padre, agricoltore, trovò un nuovo lavoro. Pochi mesi dopo l’arrivo nella capitale, la famiglia Saramago subì un grave lutto: il fratellino di José, Francisco, morì a soli due anni. A causa delle difficoltà economiche, il giovane scrittore fu costretto ad abbandonare gli studi e si diede da fare passando da un impiego all’altro: fabbro, disegnatore, correttore di bozze, traduttore, giornalista e –infine- trovò un lavoro stabile nel campo dell’editoria, lavorando per dodici anni come direttore di produzione. Nel 1944 sposò Ida Reis e nel 1947 nacque l’unico frutto del loro amore, Violante. In quello stesso anno vede la luce il suo primo romanzo, “Terre del peccato”, in seguito ripudiato dallo stesso scrittore e accolto con ostilità dal Portogallo del dittatore Salazar a cui Saramago si era sempre apertamente opposto (ricambiato con una censura quasi continua dei suoi scritti giornalistici). Qualche anno dopo, José si iscrive al Partito Comunista Portoghese; in tutta la vita dello scrittore, l’impegno politico è una costante, un modo di guardare alla vita che mai sarebbe venuto meno, soprattutto nelle sue opere letterarie. Negli anni Sessanta il suo nome si fa largo soprattutto nel campo della critica letteraria, grazie all’attività svolta per la rivista Saera Nova. Nel 1966 partorisce il suo primo libro di poesie, “I poemi possibili”. Fino allo scoppio della cosiddetta “Rivoluzione dei garofani”, nel 1974, Saramago si dedica alla stesura di poesie, cronache, testi teatrali e romanzi, mettendo alla prova la sua abilità. In seguito, con quello che può essere definita la seconda fase della vita artistica dell’autore, egli si dedica alla scrittura a tempo pieno, inaugurando un nuovo stile della letteratura portoghese. Negli anni Ottanta, in pochi anni, vedono la luce tre grandi opere, dal forte impatto: “Memoriale del convento” (1982), “L’anno della morte di Riccardo Reis” (1984) e “La zattera di pietra”. Con queste opere, Saramago non solo si consacra al grande pubblico, ma otterrà anche numerosi riconoscimenti della critica. A caratterizzare il suo stile narrativo è soprattutto l’attenzione al fattore umano che si nasconde dietro ogni grande (o piccolo) evento. Il riconoscimento a livello internazionale avviene negli anni Novanta, con “Storia dell’assedio di Lisbona”, “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” e “Cecità”. Con questi nuovi romanzi, Saramago continua l’esperimento di una nuova scrittura fatta di periodi lunghissimi, interrotti raramente solo da virgole; di complessità in cui ricercare e studiare l’uomo, con le sue forze e le sue debolezze. L’uomo, mai eroe, sempre umano, verso cui lo scrittore non di rado mostra pietà e compassione. Nel 1998 gli viene assegnato il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “con parabole, sostenute dall’immaginazione, dalla compassione e dall’ironia ci permette continuamente di conoscere realtà difficili da interpretare”. Egli cominciò il suo discorso di ringraziamento, rimasto famoso, ricordando che l’uomo più saggio, da lui conosciuto, non sapeva né leggere né scrivere, riferendosi a suo nonno. Ha passato gli ultimi anni della sua vita nelle Isole Canarie, continuando a scrivere in un blog dove a chiare lettere ha sempre espresso la sua visione del mondo e della realtà a lui contemporanea. In una frase ha fissato il perché di una vita dedicata alla scrittura:“Le parole sono l’unica cosa immortale: quando uno è morto, ai posteri rimangono solo loro”. Nel 2012, a confermare la sua immortalità, Feltrinelli pubblica un suo romanzo postumo, “Lucernario”.
Emiliana Cristiano
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