Il sistema dei correnti nei partiti italiani è sempre esistito, fin dall’unità d’Italia: in questi tempi il meccanismo sembra silente o almeno è disapprovato, la via più semplice pare la scissione.
Il Movimento Cinque Stelle non accetta neppure (è scritto nella costituzione) la libertà o sfumatura di pensiero: difatti chi non è d’accordo, è automaticamente espulso dagli stessi cittadini, via web.
La Lega Nord è più mai compatta verso Matteo Salvini, seguendo anche il pensiero di coloro che lo stesso Salvini ha estromesso.
Forza Italia, sembra non accettare la figura di Raffaele Fitto, al punto di proporgli di lasciare il partito (è accusato di avere una tradizione troppo democristiana in famiglia): il partito di Berlusconi ha avuto, in passato, dei dissensi (Gianfranco Fini) ma la scelta è sempre stata l’espulsione o l’induzione a essa (come accadde a Giorgia Meloni o alle “colombe” che fondarono Ncd); d’altra parte è difficile avere correnti, in un partito il cui leader è sempre e solo uno.
Il Partito Democratico è sempre stato un baluardo del vecchio sistema correntistico, ma ultimamente, a parte i “vecchi” che sembrano intenzionati a rimanere, è il nuovo che avanza (Pippo Civati) che minaccia spesso di staccarsi.
In realtà l’idea di corrente è presente fin dal 1861: il vecchio Partito Liberale governò dal 1861 al 1922 con grandi correnti al suo interno, che si alternavano al potere.
Alcuni partiti come la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, subirono le correnti quasi come una malattia cronica: alcune volte si formavano sfumature leggere di pensiero, talmente leggere che si faticava a intuirne le fondamenta (oppure talvolta era il capriccio di un singolo uomo politico che si trascinava i suoi seguaci).
A contrario del Psi, che subì al suo interno tante storiche scissioni, la Dc non si divise mai (eccetto infine), evidentemente per non perdere il potere.
Alcuni partiti ebbero una vicenda curiosa, legata al correntismo: taluni furono per lungo tempo monolitici e poi si frazionarono, altri seguirono il percorso inverso.
Il Partito Repubblicano Italiano dopo un iniziale periodo di coabitazione (tra il progressista Ugo La Malfa e il fondatore conservatore, Randolfo Pacciardi) subì una scissione (Pacciardi) e fu monolitico fino alla fine (quando al tramonto si spezzettò miseramente in tanti tronconi).
Il Partito Liberale Italiano fu inizialmente diviso negli anni ‘50 (tra il conservatore Malagodi e il radicale Villabruna), subì quasi subito una scissione (se ne andò Villabruna) e restò monolitico fino alla fine anni ‘70.
Il Partito Comunista Italiano ebbe una storia a se: nacque a causa di una scissione ma, finchè fu in vita il leader Palmiro Togliatti, non accettò la benché minima ombra di corrente (chi protestò contro l’invasione ungherese del 1956, fu espulso).
Alla morte di Togliatti affiorarono le prime divergenze di pensiero sotto il segretario Luigi Longo (tra un moderato Amendola e un estremista Ingrao) e continuarono diversamente sotto Enrico Berlinguer (tra il segretario stesso e il “sovietico” Cossutta).
Talvolta non significa che l’estremismo di una certa ideologia non provochi divergenze di pensiero: il Movimento Sociale Italiano ha sempre lottato tra diverse correnti, moderate ed estreme (Michelini-Almirante e Almirante-Rauti).
Correnti si, correnti no: la libertà di pensiero è sacrosanta, ma senza che diventi una malattia cronica.
Rey Brembilla
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