La discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel 1994, aveva un significato preciso: discontinuità totale col passato della prima Repubblica.
Spazzata via la vecchia dirigenza, l’ex imprenditore incarnava la novità e lo dimostrava a parole: attaccando il “vecchio teatrino della politica” e i “politicanti di mestiere, che nella propria vita non hanno mai lavorato”:.
Negli ultimi tempi sembra che Berlusconi si sia adeguato a questi personaggi.
La prima spia si ebbe alla nascita del suo terzo governo, nel 2005: un ministero (si disse) che voleva aprirsi a temi toccati marginalmente (ad esempio il mezzogiorno).
In realtà il terzo ministero fu tra i più “immobili” dell’epopea Berlusconi: l’unico vero scopo fu di smistare qualche poltrona ad alleati minori e soprattutto donare la vice presidenza al grande “avversario”, Marco Follini (che di lì a poco lasciò il centro destra).
Silvio Berlusconi si prestò alla recita senza lamentele, senza lagnarsi del “teatrino politico”: venne ad assomigliare ai politici di un tempo, che si ripetevano al potere non cambiando quasi neppure una virgola.
Una seconda caratteristica dell’ex cavaliere è la continua permanenza politica: dal 1994 non si è mai più stancato e insiste a non farlo, nonostante l’età (paventa ancora un governo, quando terminerà il periodo di “reclusione” forzata).
Il potere chiaramente gli piace e nonostante una mentalità aperta, non accenna a dare spazio ai giovani (se non telecomandati da lui): l’esempio classico avvenne alla fine del suo ultimo governo, quando volle restare in sella, sfidando una maggioranza ormai ridicola.
La caratteristica politica più evidente dell’ultimo Berlusconi è il cambio repentino d’idea, secondo le circostanze.
In particolare durante il governo di Mario Monti, Berlusconi fu molto combattuto tra il dar via alle primarie o tra il porsi ancora come candidato (prima propinò Alfano e poi, per un attimo, Monti stesso).
Dopo un lungo periodo di contrapposizione con la sinistra, accettò di partecipare a due governi consecutivi con i suoi avversari politici (il governo Monti e quello Letta) e ogni volta fu lui a decidere di staccare la spina: la seconda volta (come volendo seguire i vecchi statisti democristiani), prese una scusa per allontanarsi dal governo (l’aumento dell’Iva) ma in realtà se ne distaccò per l’appoggio negato alla sua decaduta come senatore.
Nei confronti di Matteo Renzi, la volubilità di pensiero è aumentata: dapprima un colpo a sinistra (attraverso l’apertura alle coppie omosessuali e allo ius soli) e dall’altra un colpo a destra (l’improvvisa virata negativa sul patto del Nazzareno, dopo mesi di un tandem consolidato).
Nella somiglianza tra l’ex premier e la vecchia classe politica, qualcosa non ancora non s’intravvede: la caratteristica delle correnti.
Probabilmente si chiede troppo a un vecchio e autoritario accentratore, come lui è.
Antonio Gargiulo
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