Analizzando il tema del diritto d’asilo e di protezione dei rifugiati nella storia e poi
nell’ambito legislativo internazionale e comunitario, ho cercato di chiarire inanzitutto
i passaggi giuridici che hanno portato ad elaborare la definizione di rifugiato nella
Convenzione di Ginevra del 1951 e, in ambito europeo, i processi normativi che
hanno portato a delineare il territorio europeo e i suoi confini esterni (lo spazio
Schengen) quale area di “libertà, sicurezza comune e giustizia” e le procedure nel
Sistema di Dublino (Dublino I, II, III) per la determinazione di uno Stato competente
all’esame di una domanda d’asilo.
Arriviamo ora ad inquadrare, sia nell’ ambito legislativo interno che in quello esecutivo, quale reale applicazione sul campo hanno avuto gli stessi trattati e accordi internazionali detti in precedenza, in Italia, Stato membro dell’Unione Europea, che è
soprattutto territorio d’arrivo e teatro di sbarchi costieri spesso drammatici e difficili,
in quanto tra i primi paesi d’accesso all’Europa lungo la rotta sul Mediterraneo.
Dalla Legge Martelli al Pacchetto Sicurezza 2008-2009 e gli ultimi sviluppi, la normativa italiana in materia di immigrazione ha una storia abbastanza recente.
In Italia, infatti, fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, la complessità del
fenomeno è stata sostanzialmente sottovalutata, in particolare a causa del fatto che il
nostro Paese, dagli inizi del ‘900, era caratterizzato da una tendenziale emigrazione
(verso gli Stati Uniti, l’America Latina e i Paesi del Nord Europa).
Di conseguenza, l’ingresso di stranieri sul territorio veniva affrontato come unesclusivo problema di ordine pubblico, senza una legislazione organica che disciplinasse la questione.
La Costituzione Italiana del 1948 afferma, all’Art.10, che “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese
l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha
diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.”; tale articolo fece il suo ingresso nella carta costituzionale tra i primi dodici articoli dedicati ai principi fondamentali, con difficoltà, poichè durante la sua stesura vi furono parecchie divergenze tra i vari schieramenti politici presenti in Parlamento all’indomani del secondo conflitto mondiale.
Nel 1954, al momento della ratifica della Convenzione di Ginevra, la Legge n° 722
del 24 luglio 1954, diede una visione interpretativa molto restrittva dello status di
rifugiato, prevedendo che potessero assumere lo status di rifugiato solo i cittadini provenienti dall’Europa.
La limitazione geografica e quella temporale della Convenzione, (abolite poi
entrambe dal Protocollo di New York nel 1967, come visto in precedenza) venne
mantenuta fino al 1970, unitamente alla mancata adozione nel nostro ordinamento di
una normativa che regolasse compiutamente il diritto d’asilo, confondendo quindi di
fatto il concetto di “rifugio” e quello di “asilo”.
In generale, dunque, il quadro normativo specifico in materia era legato ancora al
periodo fascista ed in particolare ad un Testo Unico delle Leggi di Pubblica
Sicurezza del 1931, seguito da una serie di circolari emanate dai differenti ministeri
competenti e spesso in contraddizione l’una con l’altra.
Le procedure di ingresso in quel periodo prevedevano che gli stranieri comunicassero
il loro soggiorno su territorio italiano entro 3 giorni dall’arrivo e, in seguito, venivano
sottoposti a ripetuti controlli da parte delle forze dell’ordine ed eventualmente,
potevano essere destinatari di provvedimenti di espulsione senza alcun controllo
giurisdizionale.
La prima disciplina in materia avente carattere organico, dettata però ancora da
ragioni emergenziali, è rappresentata dalla cosìddetta Legge “Martelli” ( n°39 del 28
febbraio 1990), che convertiva il d.l n°416 del 30 dicembre 1989, recante norme
urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini
extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già
presenti nel territorio dello Stato più alcune norme in materia di rifugiati.
Con riferimento a quest’ultima, la Legge Martelli ha introdotto concetti e
meccanismi che costituiscono la base dell’attuale legislazione in materia, operando in
maniera sia preventiva sia repressiva.
Da una parte, veniva disposta la programmazione in materia di flussi di ingresso dei
migranti economici alla luce delle necessità statali, mediante il rilascio di un apposito
permesso di soggiorno da parte della Questura o del commissariato di Polizia Statale
competente. Dall’altra, era prevista la regolarizzazione degli stranieri già presenti sul
territorio e alcune norme sull’ integrazione di questi ultimi.
La legge conteneva inoltre disposizioni di carattere penale (pene detentive e
pecuniarie) e disciplinava per la prima volta la procedura di espulsione degli stranieri
socialmente pericolosi oppure irregolari, per cui gli stranieri dovevano abbandonare
il territorio entro 15 giorni, pena l’accompagnamento coatto alla frontiera.
Nella seconda metà degli anni ’90 si decise di superare la logica dell’emergenza e di
stabilire una cornice normativa di carattere generale e completo.
Per questo motivo, venne approvata nel 1998, la Legge Turco-Napolitano (Legge n°
40 del 6 marzo 1998), che aveva come obiettivi principali quelli di programmare gliingressi regolari, stabilire percorsi di integrazione degli stranieri regolarmente
residenti sul territorio dello Stato e contrastare l’immigrazione irregolare.
La L.40/98, Turco-Napolitano confluì poi nel Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. n°286 del 25 luglio 1998) che si componeva di 49 articoli.
Il T.U. creava il sistema delle quote di ingresso come momento di incontro tra la domanda e l’offerta di manodopera di stranieri, pur se mitigato dalla
possibilità di chiamata diretta del lavoratore straniero da parte del datore di lavoro
(cosìddetto “sistema dello sponsor”), dalla possibilità del ricongiungimento familiare
e da un rafforzamento dei diritti degli stranieri.
Al T.U, nel 2002, è stata poi allegata la cosìddetta Legge “Bossi-Fini” (Legge n°189,
30 luglio 2002), tutt’ora in vigore, che introduceva alcune novità, sotto
un’impostazione nuovamente restrittiva, dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri;
veniva ad esempio istituita la formalizzazione del contratto di soggiorno quale titolo
per la permanenza sul territorio italiano, l’abolizione del sistema dello sponsor, la
limitazione dei casi di ricongiungimento familiare e la creazione degli Sportelli Unici
per l’immigrazione situati presso le Prefetture.
La Bossi-Fini si caratterizzava anche per l’inasprimento delle procedure di
allontanamento, con particolare riferimento alla regola della immediata esecuzionedelle espulsioni con accompagnamento coatto alla frontiera in caso di immigrazione
irregolare, altrimenti definita in modo dispregativo, come “clandestina”.
Con il governo Berlusconi degli anni 2008-2011 è stata intrapresa una politica
dell’immigrazione nuovamente restrittiva, con l’adozione dele norme contenute nel
cosìddetto Pacchetto Sicurezza del 2008-2009.
In primo luogo, la Legge n°125 del 24 luglio 2008, (del Pacchetto Sicurezza, sulle
misure urgenti in materia di sicurezza pubblica) ha previsto l’espulsione giudiziale
per cittadini UE o extra-UE in caso di condanna alla reclusione per più di due anni e
la reclusione da uno a sei anni in caso di dichiarazioni o attestazioni false su identità,
stato e altre qualità personali (pena che, si noti, si applica anche ai cittadini italiani).
In secondo luogo, il d.lgs. n°160 del 3 ottobre 2008, ha modificato in senso più
restrittivo le precedenti disposizioni sul ricongiungimento familiare, in particolare
limitando il novero dei familiari ricongiungibili, innalzando il reddito minimo
sufficiente per accedere al ricongiungimento.
La novità più importante è rappresentata dall’introduzione del reato di ingresso e
soggiorno illegale (detto appunto, “reato di clandestinità”, abolito poi solo nel 2013),
viene punito più gravemente il favoreggiamento all’immigrazione clandestina (anche
nella forma associata) e si prevede la possibilità di trattenere gli immigrati irregolari
nei CIE fino a 180 giorni per permetterne l’identificazione e la successiva
espulsione; viene resa inoltre effettiva l’espulsione degli stranieri che si trattengono
dopo un provvedimento di allontanamento.
Infine, negli ultimi anni l’Italia ha recepito importanti direttive dall’Unione Europea
volte ad armonizzare la materia tra i vari paesi membri e dare attuazione ai vari
principi contenuti nei trattati e nei regolamenti (tra cui Dublino II e III); tra queste la
CE 95/2011, detta anche Direttiva Qualifiche “recante norme sull’attribuzione, a
cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezioneinternazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a
beneficiare della protezione sussidiaria, nonchè sul contenuto della protezione
ricoonosciuta” e la CE 85/2005, detta Direttiva Procedure “recante norme minime per
le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca
dello status di rifugiato”.
In conclusione, gli interventi legislativi richiamati dimostrano sostanzialmente la
volontà di occuparsi del tema degli stranieri e dell’asilo (solo parzialmente),
uniformando la nostra legislazione alle indicazioni internazionali e comunitarie,
interpretandole però in senso decisamente ostile per limitare l’ingresso degli stranieri
nel territorio italiano, nonostante gli arrivi e le richieste d’asilo e di accoglienza siano
in continua ascesa e lo dimostrano i fatti avvenuti dal tragico naufragio di
Lampedusa del 3 ottobre 2013, (in cui 366 persone persero la vita a largo delle nostre
coste), fino ad oggi.
PATRIZIA DIOMAIUTO
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