E’ risaputo che Benito Mussolini aveva un passato socialista ed è forse uno dei pochi casi celebri di dittatori politicamente “mutevoli”: poco conosciuta è stata la sua “strana” amicizia col leader storico del Psi: Pietro Nenni.
Questo articolo non vuole difendere Mussolini o buttare fango sull’onestà di Nenni: anzi vuole rammentare ancora di più l’umanità del leader socialista e ricordare quanto un dittatore sia anche un uomo.
Benito Mussolini era un socialista “rivoluzionario” e, seppur nelle diversità, era amico stretto di Nenni, socialista di stampo mazziniano.
Correva l’anno 1911 ed entrambi i ragazzi (vent’anni Nenni e ventotto Mussolini) insorsero contro la guerra in Libia, furono imprigionati e si ritrovarono compagni di cella: probabilmente la medesima origine romagnola fece da collante all’amicizia.
Le rispettive mogli (o meglio, in termini marxisti, le “compagne libere”) si trovarono al parlatorio e fecero, a loro volta, amicizia: Rachele e Carmen avevano entrambe due bambine, Edda e Giuliana.
“Il carcere avvicina e fortifica l’amicizia” scriverà Nenni “Mussolini ed io passavamo ore nella stessa cella, giocando a carte, leggendo e facendo progetti per il nostro confuso avvenire.”.
Oltre che la differenza politica e anagrafica, tra i due c’era una differenza sociale: Mussolini era un insegnante, mentre Nenni proveniva da un orfanotrofio.
Il futuro Duce provava affetto per questo ragazzo miope e ne assunse dei toni paterni e protettivi: Nenni a sua volta subiva il fascino dell’amico più colto ed adulto.
Scarcerati nel 1912, il futuro leader socialista fu nuovamente arrestato per aver applaudito ad Antonio D’Alba, l’anarchico che attentò al Re: tale fu il chiasso di Mussolini per imporre la sua liberazione, che pure lui fu arrestato.
Mussolini ebbe a dire: “ Se il cittadino Savoia cadesse per una pistolettata, ciò sarebbe un atto di giustizia”.
Frase oggi paradossale, poiché il “cittadino Savoia” era Vittorio Emanuele III, destinato a dare al Duce il potere, il 28 ottobre del 1922.
Liberati dalla galera, i due amici si diedero al giornalismo, seguendo pubblicazioni entrambe socialiste ma di diverso orientamento politico (il rivoluzionario “Avanti !” per Mussolini e il moderato “Lucifero” per Nenni): nei rispettivi corsivi affiorava ancora la stima tra i due.
Scriveva Nenni: “Una grande contraddizione rende inutile la propaganda rivoluzionaria dell’’Avanti!. Dirò di più: Mussolini è un galantuomo che innegabilmente agisce in buona fede. Il guaio è che egli è un rivoluzionario alla testa di un partito riformista.”.
Ribatteva Mussolini: “Tale prosa ci fa piacere: esse dimostra, fra l’altro – e questo è l’importante – che la lealtà polemica non è sempre una pietosa, irraggiungibile aspirazione.
Entrambi si ritrovarono sulla stessa barricata nel 1914: durante la “settimana rossa”, l’enorme ondata di scioperi accaduta poco prima del conflitto mondiale.
Nenni fu di nuovo catturato e il futuro Duce se ne rammaricò attraverso una lettera affettuosa: “Carissimo Pietro, vengo a portarti la mia parola fraterna. Tu non hai bisogno di conforto, come non ne avevi quando abbiamo fatto insieme un po’ di apprendistato carcerario. Se ripenso a quei giorni provo tanta nostalgia…Un abbraccio Benito”.
L’anno dopo avvenne la rottura insanabile: Mussolini fondò il giornale “Popolo d’Italia” di chiara matrice interventista, mentre Nenni restò socialista e neutralista, nei confronti della guerra che era in procinto di cominciare.
Nonostante la divisione apparente, il futuro leader socialista non nascose l’apprezzamento verso la scelta del suo amico: Fui d’accordo con Mussolini, per la battaglia interventista, anche se mossi da premesse diverse: per me era l’ultima guerra del risorgimento, per lui una guerra rivoluzionaria…”.
La particolare amicizia ebbe una nuova reunion in campo bellico, difatti si arruolarono entrambi nel corpo dei bersaglieri e Mussolini lo immortalò sulle pagine del suo giornale, con tale ironica didascalia: “Nenni fu uno dei più giovani rivoluzionari della settimana Rossa ora nasconde la camicia del rivoluzionario sotto il pastrano grigioverde del volontario. A Pietro, nostro giovane amico, i più fraterni auguri.”.
Il dopoguerra li vide sempre più avversari ma più che mai amici: il futuro leader socialista frequentava molto la casa dell’amico a Milano, al punto che la piccola Edda lo chiamava “zio Pietro”.
Nel frattempo scoppiò la “Rivoluzione Russa”: molti esponenti del Psi si esaltarono all’idea di uno stato comunista, ma, nuovamente, i due amici furono scettici e preferirono perseguire una “terza via socialista”.
Nel 1919 Mussolini formò “il fascio dei combattenti”, Nenni lo imitò (equivocando le sue intenzioni) creando a Bologna un’iniziativa analoga.
In realtà poi, sotto lo stimolo del Pci (che di Nenni era già alleato e voleva “nascondere” il passato scomodo) il leader socialista rinnegò ogni iniziativa di questo genere, ma la segnalazione della questura di Bologna è esplicita: “Nenni si è fatto promotore della fondazione del fascio dei combattenti esponendo un programma riassunto in questa espressione: né coi bolscevichi, né coi monarchici, ma per la rivoluzione e la Costituzione”.
Ovviamente il “puro” Nenni ritirò tutto appena intravide la natura dittatoriale del suo amico ma, nonostante tutto, l’affetto prevalse, attraverso una frase, severa ma incoraggiante, scritta sull’ “Avanti!”: “Possiede un oscuro fascino di condottiero. E’ un uomo forte che vuole distinguersi, essere il primo, per una strada o per un’altra. Potrà fare molto bene o molto male, ma comunque farà molto parlare di sé”.
Ormai distanti si rincontrarono un’ultima volta a Cannes nel 1922, per un convegno di partito: passeggiarono fino all’alba sulla “croisette”, parlando in fitto dialetto romagnolo.
C’è mistero sui discorsi, ma è plausibile che Mussolini abbia proposto al vecchio amico una “poltrona” del prossimo stato fascista: la coerenza di Nenni avrà giustamente rifiutato questo consiglio e avrà trovato come unico sbocco l’esilio.
Da questo momento in poi i due amici si divisero per sempre, Nenni andò in esilio in Francia, ove fu catturato dalle SS come agente di Stalin: fu deportato in Germania attraverso un vagone piombato (la figlia Vittoria lo aveva preceduto in un campo di concentramento, dove poi morì), ma stranamente su quel treno vi rimase solo dal 12 marzo fino al 5 aprile del 1943, non vedendo mai la Germania.
Con grande incredulità Nenni fu fermato da due carabinieri sul Brennero (tale fu la gioia che gli venne voglia di baciarli) e trasportato in esilio sull’isola di Ponza, sino al termine del conflitto. Era salvo!
Era impossibile che proprio la sua figura e quella della moglie fossero fermati in tempo: qualcuno a Roma aveva ordinato che il treno si fermasse, qualcuno probabilmente che un tempo era “amico”.
Nel pomeriggio del 28 luglio 1943, Benito Mussolini sbarcava all’esilio di Ponza, ove il Re lo aveva spedito dopo la caduta del fascismo: Nenni lo osservava dall’alto col cannocchiale e scrisse alcune frasi sul suo diario.
“scherzi del destino! Trentanni fa eravamo in carcere insieme, legati da un’amicizia che pareva sfidare il tempo e le tempeste della vita. Ed ora eccoci entrambi sulla stessa isola, io per decisione sua, lui per decisione del re”.
Il Duce fu poi liberato e durante il breve periodo di Salò scrisse queste considerazioni, che illuminarono una gran verità.
“Quando giunsi a Ponza vi era confinato Nenni. Oggi sarà un uomo libero. Ma se è ancora in vita, lo deve proprio a me. Sono molti anni che non lo vedo, ma non credo che sia cambiato molto”
Qualche tempo dopo, il 28 aprile 1945, quando giunse a Roma nella redazione dell’Avanti” la notizia della fucilazione di Mussolini, Sandro Pertini, che era vicino a Nenni racconterà:
“Aveva gli occhi rossi, era molto commosso, ma volle ugualmente dettare il titolo: Giustizia è fatta”.
Rey Brembilla
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