La storia dice che l’omicidio di Giacomo Matteotti, avvenuto da parte di una squadraccia fascista il 10 giugno 1924, sia avvenuto in conseguenza del celebre discorso, che il politico fece al parlamento pochi giorni prima: la denuncia dei brogli fascisti, ne provocò la morte.
In realtà il politico socialista aveva già programmato e minacciato un altro discorso (da compiere l’undici giugno), il cui argomento era destinato a rimanere segreto per molti anni.
Un semplice oggetto è il primo protagonista di questa storia: la borsa, che Matteotti teneva sempre con sè, che fu sequestrata dagli assassini.
Amerigo Dumini, l’assassino, la passò a Emilio De Bono (fascista fin dalla prima ora) che a sua volta la consegnò a Mussolini come estremo tentativo di salvataggio: De Bono, infatti, fu processato e giustiziato a Verona (assieme a Galeazzo Ciano) per aver provocato le dimissioni del Duce, il 25 luglio del 1943.
Il Duce mantenne gelosamente questi documenti, addirittura fino alla cattura a Dongo: i partigiani sequestrarono le cartellette che Mussolini portava con sè, ma i documenti riguardanti a Matteotti scomparvero misteriosamente.
L’importanza di questi scritti è testimoniata dallo stesso Amerigo Dumini, che cominciò a ricattare Mussolini: dopo svariati modi di indurlo al silenzio (attraverso denunce e periodi di prigionia), il sicario fu inviato in Cirenaica, dove visse da imprenditore e ricevette ingenti finanziamenti dal governo italiano (più di due milioni e mezzo di lire).
Bastò la minaccia di inviare i famosi documenti a conosciuti petrolieri texani, perché il fascismo decise che Amerigo Dumini era meglio vivo, libero e possibilmente ampliamente foraggiato.
Su quale segreto stava indagando Giacomo Matteotti, poco prima di morire? Alcuni strani rapporti tra il Re Vittorio Emanuele III, Mussolini e la compagnia petrolifera americana Sinclair Oil.
Amerigo Dumini difatti sosteneva, in una lettera firmata, di aver ricevuto l’ordine di uccidere il politico socialista, per il timore che quest’ultimo svelasse segreti scottanti, durante il programmato discorso parlamentare: la “lettera testamento” fu in seguito trovata dal signor Paoletti (un ricercatore fiorentino) e pubblicata sulla rivista “Il Ponte”.
Sembra che Matteotti volesse denunciare una corruzione tra lo stato italiano e la compagnia Sinclair Oil.
La compagnia petrolifera (“figlia” della più potente “Standard Oil”) voleva corrompere Mussolini (attraverso l’onnipresente fratello Arnaldo, che parve intascare trenta milioni di lire), obbligandolo a dare l’esclusiva di alcuni scavi, in zone d’Italia in cui erano ipotizzati giacimenti petroliferi (in Emilia e in Sicilia); l’industria petrolifera si era già resa protagonista di uno scandalo di tangenti negli Stati Uniti, opportunamente insabbiato in Italia.
La trattativa fu imbastita tra politici, imprenditori e diplomatici, strettamente collegati con gruppi finanziari statunitensi: l’affare fu talmente favorevole alla compagnia americana, che destò preoccupazioni alla britannica Anglo-Iranian Oil Company, che si sentiva a ragione (lo scopo americano era quello) esclusa da ogni affare petrolifero in Italia.
Matteotti compì un viaggio in Inghilterra ove, attestato da alcuni articoli di giornale di allora, scoprì il misfatto e il giro di tangenti: la stampa inglese fu sempre pronta a difendere la tesi “petrolifera” dell’assassinio del politico socialista.
Secondo l’ex dirigente dell’Eni Benito Li Vigni (autore del saggio “ Le guerre del petrolio” del 2004), la Standard Oil attraverso la Sinclair Oil, avrebbe ottenuto l’ottanta per cento del fabbisogno idrocarburo nell’Italia degli anni ’20, tramite la “società italo americana del petrolio”: il venti per cento era posseduto dalla “Royal Dutch Shell”.
Il 29 aprile fu raggiunto l’accordo che comprendeva anche il monopolio americano anche sul fertile territorio libico.
Alcuni curiosi episodi dimostrano come i sospetti, sul movente “petrolifero” dell’assassinio di Matteotti, avessero fondi di verità.
Benito Mussolini disdisse il contratto con la “Sinclair Oil” fin dal 1924: improvvisamente, quasi come se qualcosa lo avesse spaventato (la paura di uno scandalo ?).
La famiglia Matteotti, nonostante il grave lutto che dovettero subire, non accusarono mai Benito Mussolini, neppure quando cadde il fascismo (durante il processo del 1947): secondo, infatti, lo scrittore Mauro Canali, la famiglia del politico assassinato fu ampiamente pagata dalla polizia fascista, in cambio del silenzio e della privazione di ogni rapporto con le forze anti-fasciste.
Infine è curiosa la morte di Amerigo Dumini, che sopravvisse alla fine della dittatura e morì nella sua casa (a Roma), fulminato da una lampadina che stava per avvitare: un accidente tragico ma sospettoso, se collegato alla figura di Dumini (è giusto ricordare che il fascismo cadde ma il potere petrolifero americano è più che mai al potere).
Episodi difficilmente potrebbero essere casuali e il mistero s’infittisce.
Rey Brembilla
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