“Sul fatto se resto a Napoli o meno non si può mai sapere. Se sento mia la maglia? Non lo so se la sento mia, mi sento parte del Napoli, credo questo sia importante”.
Parole e musica di Ezequiel Lavezzi.
Erano momenti felici quelli, si era in Champions’, si lottava per i quarti di finale, il campionato era ancora lungo e gli azzurri avrebbero ancora potuto raggiungere qualsiasi risultato.
Il Pocho era sulla bocca di tutti, sei partite consecutive in cui andava in rete e sfoderava prestazioni esaltanti. Tutti lo inneggiavano come l’erede di Diego, chi voleva dargli la numero dieci, chi lo voleva proprietario dei galloni di capitano, lo stesso Bruscolotti in quel periodo consigliò a Cannavaro di consegnare la fascia al funambolo argentino ripercorrendo lo stesso gesto che Pal e fierr fece venticinque anni prima con Maradona nella speranza di poter poi arrivare agli stessi successi di quel Napoli che fu leggendario.
Nonostante tutti lo venerassero quasi persino per le sue flatulenze, Lavezzi non ha mai fatto il ruffiano, non ha mai dichiarato amore eterno, non ha mai baciato la maglia e non ha mai detto di sentirsi napoletano doc. No, il Pocho è sempre stato sincero verso una piazza che gli ha dato tanto e a cui lui ha dato altrettanto. La sincerità non è praticamente mai apprezzata, soprattutto in un mondo come quello del calcio dominato dall’apparire più che dall’essere. Ma il Pocho ha conservato i suoi valori, il suo essere uomo e il suo rispetto verso i propri tifosi. Ma a quanto pare questo non è bastato.
Nell’ultima partita di campionato, Napoli – Siena, durante la lettura delle formazioni quando lo speaker ha pronunciato il suo nome, un’orda di fischi si è abbattuta al San Paolo.
Ma perché? Cosa è successo? Cosa ha fatto Lavezzi per meritarsi quel trattamento dopo cinque anni meravigliosi con la casacca azzurra?
Ed ecco che allora si deve aprire una doverosa parentesi sull’argomento che perseguita l’argentino dal primo anno che è arrivato al Napoli: Lavezzi resta o se ne va?
Conoscete la favola di al lupo al lupo di Esopo? La favola parla di un pastore che si divertiva a fare uno scherzo: mentre le altre persone erano a dormire egli cominciava a gridare: “Al lupo, al lupo!” Così tutti si svegliavano e accorrevano per aiutarlo accorgendosi che si trattava di uno scherzo. Questo scherzo continuò per parecchi giorni, finché una notte il lupo arrivò veramente. Il pastore cominciò a gridare: “Al lupo, al lupo!”, ma nessuno venne ad aiutarlo perché tutti pensarono che fosse il solito scherzo ed il lupo mangiò il pastore.
A differenza della favola però i tifosi napoletani credono ancora al pastore, in questo caso rappresentato dai media ma soprattutto dagli opinionisti o presunti tali che circolano in quest’ambiente.
Ogni estate, non si fa altro che annunciare la vendita certa di Lavezzi, ma poi alla fine il Pocho resta. Per carità dicendolo sempre si corre il rischio che una volta ci si possa azzeccare, ma è lo stesso meccanismo del gioco del lotto: puntando sempre lo stesso ambo prima o poi si vince.
Ed allora ecco che tutto ricade sulle spalle dell’argentino che, nonostante i sonori fischi durante tutto l’arco dell’ultima partita di campionato, si è battuto su ogni palla come un leone rispondendo a quei fischi con i fatti. È facile giurare amore eterno, baciare le maglie e poi lasciare senza colpo ferire la propria squadra per quella che ti offre di più. Difficile invece è rimanere coerenti anche nei momenti in cui tutti ti trattano come un re e su questo Lavezzi ha ampiamente superato l’esame.
A questo poi si aggiunga la assoluta incoerenza da parte di una fetta di addetti ai lavori ed il piatto è servito.
Lavezzi prima osannato come insostituibile, viene poi relegato come seconda scelta quasi fosse un calciatore dilettante, per poi essere nuovamente riportato sul podio.
Alcuni operatori del settore sembrano avere le idee davvero poco chiare, ma non è tutto nero: esiste fortunatamente qualcuno che resta coerente con le proprie idee, a prescindere da quelli che sono i chiacchiericci da bar o le prestazioni di una singola partita.
Il pocho non ha mai fatto mistero di dover vivere in condizioni peggiori addirittura di quelle in cui viveva Maradona. Al pibe de oro almeno la notte era concessa per uscire, ad Ezequiel invece neanche gli orari notturni sono concessi per prendere un po’ d’aria, ma neanche in questo caso lui si è lamentato, accettando tutto il calore, talvolta asfissiante, di una piazza come quella napoletana.
E così siamo al punto di partenza: perché i fischi? Perché De Laurentiis piuttosto che urlare “Bravo Pocho” dalle tribune, dando l’impressione di essere un comico caratterista più del suo fido Verdone, non indice una conferenza stampa in cui mette in chiaro le cose? Perché non ammette che forse il Napoli non può più permetterselo? Un giocatore come Lavezzi, incastrato nel salary cup azzurro, inizia effettivamente a starci stretto.
Forse non lo ammetterà mai, perché un annuncio del genere farebbe cadere tutto il “progetto Napoli” che a quel punto somiglierebbe molto più al progetto Udinese che a quello Arsenal o Barcellona a cui spesso il presidente romano, originario di Torre Annunziata, si appella sempre. Una piazza come quella azzurra, con più di sei milioni di tifosi, non accetterebbe mai una cosa del genere facendo si che una delle principali fonti di guadagno del patron, la SSC Napoli per l’appunto, verrebbe a cadere.
Allora meglio tacere e baciare le maglie e poco importa se il progetto Napoli sia più simile a quello friulano piuttosto che a quello catalano o londinese.
E Lavezzi? Lavezzi attualmente è del Napoli, il resto per ora son chiacchiere. Quale sarà il suo futuro a noi tutti è sconosciuto, quel che è certo è che qualsiasi maglia indosserà il Pocho l’anno venturo bisogna soltanto alzarsi in piedi ed applaudirlo, calciatori del genere, a Napoli, non se ne vedevano da tempo.
Marco Branca
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