Donne e lavoro. Dati discordanti provengono dalla comparazione tra le ultime indagini sulla disoccupazione e una ricerca condotta da Randstad, seconda azienda mondiale per quanto concerne i servizi delle risorse umane.
Italia e Unione Europea. Sul tema lavoro – o, per meglio dire, sul tema disoccupazione – le percentuali sono disarmanti e la situazione sembra non migliorare con il passare dei mesi. Se l’Europa conta ben il 12,1 percento, la disoccupazione italiana la segue con poco più di undici punti percentuali. Quella giovanile sfiora il 40 percento. I dati che provengono dall’occupazione femminile, inoltre, non lasciano possibilità di respirare. Marzo 2013 ha contato 70.000 donne che hanno perso il proprio posto di lavoro. Questo per la statistica che coinvolge le under 50. Il numero “cinquanta” si ripetere anche nell’indagine che ha visto protagoniste le donne del Sud. Qui ben, appunto, il 50 percento è senza lavoro. E, mentre 70.000 donne perdevano il posto di lavoro, sempre nel marzo 2013 venivano assunti 18.000 uomini. Discriminazione o non, questi dati non lasciano spazio alla speranza. Giunti a questi livelli, bisogna solo sperare che il nuovo governo – composto da un gran numero di figure femminili (finalmente una buona notizia!) – possa capovolgere la situazione e migliorarla per l’intero Paese.
Questi dati vanno a scontrarsi – come specificato inizialmente – con un’indagine condotta da Randstad su 32 Paesi di quattro continenti. Il “Randstad WorkMonitor” è riconducibile al primo trimestre dell’anno in corso. A quanto risulta, le donne sembra siano più adatte a ricoprire il ruolo di dirigente d’azienda. A dirlo sono stati sette lavoratori su dieci. Gli Italiani, su questo punto, hanno alzato la media con una percentuale del 41 contro il 34, livelli superiori sia alla media europea sia a quella dei 32 Paesi inclusi nell’indagine. Dall’altro lato, però, emerge la grande difficoltà per le figure femminili di ambire a posizioni di “comando” (per il 69 percento, contro i 41 punti percentuali che le vedono “al pari” degli uomini). Sull’esortazione a posizioni di leadership, i lavoratori italiani invertono la tendenza. Per il 41 percento, infatti, la donna non viene spinta o “promossa” ad un ruolo dirigenziale – posto dove si predilige, ancora e da sempre, la figura maschile. Rispetto ai 32 Paesi in esame, il Belpaese si pone al 29° posto. Questa è l’Italia! È l’Italia dell’87° posto, tra i 135 Paesi del mondo, per le pari opportunità professionali ed è l’Italia del 126° posto – secondo quanto fotografato da “The Global Gender Gap Report 2012, nel corso del World Economic Forum – per la parità del salario femminile rispetto al maschile.
Per quanto si ammetta la necessità di una maggiore presenza femminile per l’equilibrio funzionale e produttivo di un team di lavoro, la difficoltà delle donne di accedere a posti di leadership – e, se ci rifacciamo ai dati di cui sopra, dovremmo specificare “a posti di lavoro” – non sembra invertire il senso di marcia.
Roberta Santoro
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