Matteo Renzi e Maria Elena Boschi sono fortunati poiché fino a pochi mesi fa non bazzicavano all’interno della classe dirigente del Pd, gli altri si sono dovuti clamorosamente adeguare: Silvio Berlusconi da nemico principale di vent’anni, è diventato l’alleato più affidabile.
Rileggendo le biografie delle figure politiche vicine a Matteo Renzi, si scoprono diverse curiosità.
La bella Alessandra Moretti, ad esempio, fu vicina a Pier Luigi Bersani, che era intenzionato a “smacchiare il giaguaro”, durante la campagna elettorale (cui la Moretti partecipò come alleata di Bersani).
Il “giaguaro” (Berlusconi, fuori dalla metafora) fu in effetti “smacchiato” con la decadenza a senatore ma ci pensò proprio Renzi a “sdoganarlo”: la Moretti si ritrova quindi ad accarezzare quel “giaguaro” che prima voleva brutalmente smacchiare.
Un’altra figura vicina al presidente del consiglio è la ministra Marianna Madia, la bella Marianna è di ben altra pasta a confronto dei suoi colleghi: poiché è già un’abile “acrobata” fin dalla nascita.
Suo nonno difatti fu un celebre esponente fascista, suo padre vicino a Veltroni: lei si avvicinò alla politica attraverso un ente (Arel) creato da Enrico Letta, salvo poi passare tra le file del suo peggior nemico (che lo scalzò dal governo), appunto Matteo Renzi.
Di conseguenza il ministro non avrà avuto certo scrupoli ad avvicinarsi al “mostro” Berlusconi, al contrario di Deborah Serracchiani.
Il Presidente della regione Venezia Giulia, dichiaratamente a fianco del premier, ha esaltato ultimamente l’affidabilità di Silvio Berlusconi.
La Serracchiani saltò agli onori della cronaca il 21 marzo 2009, durante un’assemblea del Pd, denunciando l’immobilismo del Partito Democratico e auspicando una nuova politica: l’attuale presidente si candidò alle elezioni regionali dello stesso anno e fece clamore, ottenendo più voti degli altri candidati (in Venezia Giulia) e in particolare di Berlusconi.
La giovane Deborah dichiarò entusiasmo: non tanto per il risultato elettorale ma per aver battuto il “nemico” Berlusconi, che nell’occasione chiamò “papi” (riferendosi alle cronache di quei giorni sulla presenza dell’ex premier alla festa di una diciottenne napoletana, che lo soprannominava appunto “papi”).
Oggi Deborah Serracchiani, non solo dialoga col “papi” ma addirittura ne esalta la lealtà.
Evidentemente la “new wave” del Pd si è già “berlusconizzata”, al punto che Rosy Bindi ha accusato le ministre di essere scelte perché di bella presenza: l’ex ministro ha paradossalmente rimproverato al suo stesso partito, le accuse che erano proprie di Berlusconi (e di cui la Bindi fu vittima, attraverso una celebre battuta).
In passato altri segretari del Pd tentarono un approccio con Berlusconi.
Il primo fu Massimo D’alema, l’unico (della vecchia guardia) veramente stimato da parte del Cavaliere: assieme tentarono di imbastire l’assemblea bicamerale, che fallì miseramente seppur partendo a tamburo battente.
Questa curiosa “simpatia” reciproca, poiché D’Alema (a confronto dei politici di centro-sinistra negli ultimi anni) è il più vecchio, quello più legato ai gangli del vecchio Partito Comunista: fu vicino a Berlinguer e, da bambino, addirittura conobbe Togliatti.
Destino volle che fosse lui ad avvicinarsi al classico “padrone capitalista”.
Una figura tragicomica fu Walter Veltroni.
Seguendo l’onda “kennediana” Veltroni si approcciò a Berlusconi ma trascinandosi dietro le incrostazioni del Pci: il risultato fu involontariamente comico, Veltroni al posto di nominare “Berlusconi”, lo chiamava “il nostro avversario”, con la chiara volontà di non alimentare il “berlusconismo”.
Il risultato però era una forzatura spesso tragicomica: sarebbe curioso pensare se Renzi usasse oggi un espediente simile, nel suo parlare semplice troverebbe qualche impedimento.
Matteo Renzi è agevolato perché entrato da poco nell’agone della politica nazionale, all’interno del suo governo c’è un ministro che è silente, proprio perché la sua parola sarebbe ancora più stridente, ed è Dario Franceschini.
Facente parte della vecchia classe dirigente del Pd, al governo con Letta e ora con Renzi, il buon Dario capisce che è troppo arrivare a lodare Berlusconi: resta quindi dignitosamente zitto nel suo inguaribile essere democristiano.
Rey Brembilla
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