Alla fine lo ha ammesso perfino lui, Sergio Marchionne. “Gli accordi su Chrysler risalgono al 2009 e non vedo perché dovremmo pagare un premio per qualcosa che abbiamo contribuito in modo determinante a rilanciare”, ha detto ieri il gran capo di Fiat rispondendo alle domande degli analisti. Traduzione: quel 16 per cento di Chrysler comprato per soli 875 milioni di euro (1,27 miliardi di dollari) è davvero un affarone, ma due anni fa nessuno avrebbe pensato che il gruppo americano si sarebbe ripreso dal disastro tanto in fretta.
Quindi, fa capire il numero uno del Lingotto, siamo stati bravi due volte. Bravi a strappare le migliori condizioni contrattuali. E bravi a rilanciare un’azienda fallita e fuori mercato. In effetti, con l’operazione annunciata ieri, Marchionne conferma le sue straordinarie capacità di negoziatore. Un giocatore di poker capace, quando è il caso, anche di bluffare alla grande.
Il manager col maglione nero, però, non dice tutto. Non spiega, per esempio, perchè a Torino hanno deciso di accelerare i tempi della scalata alla Chrysler. Nella tabella di marcia inizialmente accreditata dai vertici Fiat l’acquisto del 16 per cento sarebbe dovuto avvenire nella seconda metà del 2011, se non addirittura all’inizio del 2012. E invece l’accordo annunciato ieri prevede che l’affare venga concluso a fine giugno.
Perché tanta fretta di siglare il contratto? Semplice, perché tra qualche mese il 16 per cento di Chrysler sarebbe costato molto di più. Infatti, i conti dell’azienda americana stanno migliorando a gran velocità e quindi anche il suo valore di mercato. Non solo. In base agli accordi del 2009, il prezzo dipende anche da alcuni parametri di bilancio della stessa Fiat. Tra questi ha un peso rilevante l’indebitamento netto del Lingotto.
E allora, a questo punto, forse si capisce meglio perchè negli ultimi mesi i debiti dichiarati dalgruppo di Torino siano rimasti a livello tanto basso da spiazzare anche investitori e analisti. In sostanza a gennaio, dopo la scissione di camion e trattori, la parte di debito assegnata al business delle auto è sembrata alla maggior parte degli osservatori sorprendentemente esigua. Una semplice questione tecnica? Roba da esperti di bilanci? Mica tanto. Perché meno debiti significa anche meno investimenti. E meno investimenti significa meno soldi destinati a rinnovare gli impianti produttivi e a lanciare nuovi modelli.
Da mesi Marchionne spiega che non vale la pena spendere se il mercato automobilistico rimane ai minimi termini. Come dire, se il cavallo non ha sete è inutile sprecare denaro per rifornirlo di acqua. Meglio rimandare a tempi migliori le novità e intanto tenere a stecchetto l’azienda. Va segnalato che altre case automobilistiche si sono mosse diversamente, rinnovando la gamma anche in tempi di crisi. Fiat auto invece è rimasta al palo come dimostrano i disastrosi risultati commerciali in Europa.
Sta di fatto che la prudenza di Marchionne ha avuto due effetti evidenti in bilancio: i debiti si sono ridotti ai minimi termini mentre la liquidità è schizzata alle stelle. A fine marzo, come risulta dalla relazione trimestrale presentata mercoledì, Fiat auto ha in cassa qualcosa come 13 miliardi di euro. Di sicuro non ci saranno problemi per finanziare l’esborso degli 870 milioni di euro destinati ad acquistare il 16 per cento di Chrysler. Lo stesso Marchionne ieri ha dichiarato che nell’arco dei prossimi mesi la liquidità verrà riportata entro i 5 miliardi di euro.
Intanto però, come emerge dai conti, a Torino nel 2010 hanno frenato sugli investimenti per fare cassa, migliorando di gran lunga i parametri di bilancio, quelli che sono serviti a calcolare il prezzo della quota del 16 per cento. La manovra è servita quindi a risparmiare sulla scalata a Chrysler? Molti, in Borsa e nelle banche, sono convinti di sì. Sono convinti che Marchionne abbia tagliato a Torino per bruciare le tappe a Detroit, per spianare la strada alla fusione tra le due aziende. Ancora qualche mese, un anno al massimo e Fiat avrà la maggioranza di Chrysler. Poi si andrà alla fusione, la mossa finale che porterà in America una volta per tutte la testa del gruppo torinese. O di quello che ne resterà.
Fonte: ilfattoquotidiano.it
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