Una dura settimana santa questa di Pasqua per gli appassionati di musica italiana: ci hanno lasciati l’uno a distanza di pochi giorni dall’altro Enzo Jannacci, poeta e cantautore milanese e Franco “Er Califfo” Califano, la voce storica di una Roma verace e orgogliosa.
Entrambe le scomparse sono state causate da mali terribili, figli dei nostri giorni. Enzo Jannacci si è spento nella sua Milano il 29 Marzo, il Califfo nel suo quartiere romano, Acilia (quartiere che amava molto assieme alla Garbatella), il 30 Marzo. Agli antipodi per stili di vita e generi musicali, così vicini per l’amore che ricevevano da chi amava la musica. Disincantato, sornione e pungente il primo, spontaneo, nostalgico, umorale e appassionato il secondo, davvero le due cartine tornasole delle loro rispettive città.
Jannacci esordiva nella sua Milano negli anni ’50 in compagnia del suo amico di una vita, Giorgio Gaber, che lo ha lasciato troppo precocemente. Il Califfo deve la sua notorietà agli inizi degli anni ’70 dopo essersi fatto le ossa con tanta gavetta nel decennio precedente. Califano fu autore di raffinati brani prestati alla voce di altri artisti, come Minuetto e La Nevicata del 56 scritte per Mia Martini o La Musica è Finita per Ornella Vanoni, indubbiamente pezzi struggenti e commoventi. Jannacci preferiva concentrarsi sul pezzo da cabaret rimpolpando il successo del duo comico Cochi e Renato di Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni, più vari brani per Milva e Mina.
I loro successi sono legati a pezzi che più di altri hanno saputo identificare i due artisti e le due correnti. Per Califano il successo vero e proprio arriva con Tutto Il resto è Noia, scritta nel 1976, che spiana al cantautore romano la strada per farsi conoscere anche al di fuori del Mezzogiorno. Per Jannacci il successo nazionale viene raggiunto con Vengo Anch’io. No, Tu No del 1968, un album realizzato con Dario Fo (grande amico di Enzo) e Fiorenzo Fiorentini. La fama scema a causa della voglia dell’artista di specializzarsi in cardiologia, per poi tornare alla ribalta nel 1972.
Pensieri e strade diverse, ma la voglia di stupire è comune: entrambi grandi one-man-show, Califano sapeva attrarre la massa attraverso una grande gestualità ed uno sguardo intenso e sofferto (non si contano gli episodi che descrivono Califano come grande latin lover), Jannacci veniva da anni di cabaret milanesi e di teatro, arricchendo il suo bagaglio artistico di una gestualità nervosa e fluida accompagnata da un modo di cantare quasi “strillato” ed apparentemente fuori nota, il confine dall’urlo alla melodia è sempre labile, in modo voluto ed efficace per il suo personalissimo stile.
L’eredità dei due artisti non è roba da poco. Paolo Jannacci, figlio di Enzo, è ormai un consolidato ed apprezzato musicista, arrangiatore e produttore jazz, mentre per Califano si smuove mezza Roma artistica, dai Tiromancino, che hanno saputo cogliere la vena malinconica della vasta produzione di Franco, fino agli influssi jazz di Stefano Di Battista, grande collaboratore di Califano (si progettava un mini-tour di brani storici reinterpretati in chiave jazz).
50 anni di musica italiana sono a disposizione di un pubblico che oggi non ha limiti nella scoperta della storia. Resta da vedere quanto la curiosità possa essere accesa. La curiosità, l’unica cosa che non si può aprire su Youtube.
Marco Della Gatta
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