Episodio uno:
Qualche giorno fa accompagnavamo un’amica a casa, entrando nel suo parco intorno alla mezzanotte abbiamo individuato in lontananza un’ auto; il guidatore sorrideva e guidava, guidava e sorrideva, era solo nell’abitacolo ed una strana luce chiara gli abbagliava il viso, si avvicinava sempre più a noi, guidava, rideva, finchè l’auto non è arrivata quasi a frenarci addosso, affacciandoci abbiamo notato che il ragazzotto sul cruscotto aveva un iPad aperto sul social network : “Facebook”. Guidava e rideva , guidava e guardava lo schermo.
Episodio due:
Dopo mesi molto stressanti, ho deciso di passare quattro giorni di pace a casa di amici; mi sono venuti a prendere in auto facendosi guidare dal navigatore
satellitare dell’ “iPhone”, abbiamo cercato un distributore con la funzione “Luoghi” di GoogleMaps, al mare abbiamo scattato foto passandole su “Instagram” una volta a casa abbiamo comunicato la nostra posizione al coinquilino tramite “Foursquare”, infine ho contattato mio padre per rassicuralo circa il mio arrivo via “Whatsapp”.
I primi dubbi circa un abbrutimento dei miei sensi li ho avuti quando, dopo cena, dinanzi ad un bicchiere di buon vino abbiamo iniziato a chiacchierare, ognuno con fra le mani il suo tablet, il suo cellulare; sguardi rivolti in basso, voci a riempire il vuoto della stanza. La nostra non era una semplice chiacchierata, ci siamo avvalsi della meta-comunicazione, per cui ad ogni cenno corrispondeva un commento od un “Mi piace” nelle nostre rispettive pagine personali.
Segnali di vera e propria instabilità sono arrivati al risveglio: un sms mi notificava che era pronto il caffè e grazie ad un commento ad una foto ho compreso che il bagno, qualche stanza più in là, fosse occupato.
Episodio tre:
Ferma al semaforo il lavavetri fa il solito gesto di volerci pulire il parabrezza, gentilmente gli faccio cenno di non averne bisogno, lui si gira, mi guarda con aria di sufficienza, torna con le spalle al muro e mentre scatta il verde noto che dalla tasca ha appena tirato fuori un telefonino nuovo di zecca, ultima generazione. Metto la prima, sorrido e vado via.
Questo preambolo m’introduce alla notizia vera e propria: “Il cellulare diviene essere umano in miniatura” ebbene si, è vero che in Giappone da qualche tempo esiste il prototipo di un insolito cellulare con le fattezze d’ un omuncolo bianco dai lineamenti poco definiti e la superficie morbida, calda e delicata che ricorda la pelle umana, ha un microfono collocato nella testa ed il suo petto cambia colore all’ arrivo di una chiamata.
L’ideatore di questa moderna follia è Takashi Minato, uno dei ricercatori dell’Advanced Telecommunications Research Institute International, forse anche lui in una cena comune fra amici avrà osservato il movimento della mani sui touch screens e la schiavitù di una comunicazione che, ormai, ci rende più vicini solo se ci “guardiamo” attraverso uno schermo; avrà desiderato di volere accarezzare la sua amata oltre all’ascoltarne la voce, ricordare le curve dei suoi morbidi fianchi.
Quello che non vi ho ancora comunicato è che questo gingillo non ha un display e non è ancora chiaro come lo si possa utilizzare per telefonare.
Non disperate! Nell’arco di cinque anni si pensa al suo lancio sul mercato: per allora, forse, non avranno ancora inventato il teletrasporto e potrete stringere questo “meraviglioso” feticcio fra le mani, caldo e morbido proprio come una stretta di mano…o quasi.
Fiorella Quarto
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