Di Emily Brontë (1818 – 1848) si può affermare senza alcun dubbio che fu molto distante dall’immagine della tipica “donna vittoriana”: poco interessata al mondo esterno e alla religione – pur essendo figlia di un pastore ed essendo stata istruita, alla morte della madre, in un istituto “per figli di pastori poveri” – possedeva una grande immaginazione e prediligeva passatempi – fischiare, utilizzare armi da fuoco – inauditi per una donna dei suoi tempi. Si sarebbe detto di lei che era una donna indipendente, che riusciva a bastare a se stessa poiché a detta delle sue altrettanto famose sorelle, pur se legata al focolare e alla famiglia, restò sempre gelosa della propria solitudine.
La sua breve vita – morì di tisi a soli trenta anni – si concentrò prevalentemente nella casa paterna, dove la scrittrice visse confortata dalla brughiera dello Yorkshire, in compagnia della propria fantasia, delle sorelle Anne e Charlotte e del fratello Patrick. Alla morte delle due sorelline Maria ed Elizabeth, infatti, i giovani Brontë lasciarono l’istituto e, tornati a casa, furono iniziati, dalla governante Tabitha, alla lettura, agli studi, ma soprattutto all’amore fervente per la creazione artistico-letteraria. E’ noto che i quattro, fin da adolescenti, avessero l’abitudine di scrivere poesie e narrazioni e che per puro diletto inventassero racconti ambientati in mondi immaginari – Charlotte e Patrick scrissero il ciclo di Angria, Emily e Anne quello di Gondal.
Tutti i Brontë furono versati nelle arti: Patrick si dedicò alla pittura, mentre le sorelle pubblicarono insieme una raccolta di poesie che, però, vendette soltanto due copie. La raccolta fu pubblicata sotto falsi nomi: la scelta degli pseudonimi (Currer, Ellis e Acton Bell) ricadde su nomi possibili per entrambi i sessi, avendo tutte e tre le sorelle il sospetto che l’opera poetica di un gruppo di scrittrici sarebbe stata accolta con pregiudizio.
Dopo un periodo trascorso a Bruxelles in qualità di insegnante, Emily rientrò nello Yorkshire alla morte della zia Elizabeth, e lì rimase per dedicarsi esclusivamente alla conduzione della casa e all’attività letteraria. Le tre sorelle ebbero, del resto, migliore fortuna lavorando separate: Emily raggiunse la fama con il celebre romanzo Cime Tempestose (Wuthering Heights), e scrittrici di successo furono anche Charlotte e Anne, dalle cui due penne furono creati altrettanti celebri capolavori, rispettivamente Jane Eyre e Agnes Grey. In entrambi i romanzi le protagoniste sono due istitutrici, molti sono gli elementi autobiografici e alcuni studiosi sono portati a credere che i protagonisti maschili delle creazioni delle tre sorelle Brontë siano per lo più ispirati dalla figura ambigua del fratello che, in età adulta, divenne alcolista, violento e dedito al gioco.
Probabilmente non fu un caso se le sorelle scrissero romanzi con riferimenti alla propria vita: ben noto è l’effetto funzionale e catartico che la psicoanalisi affida alla scrittura e Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrisse: “Emily Brontë, l’ardente, la geniale, l’indimenticabile, l’immortale Emily. Non scrisse che pochi versi, brevi liriche aspre, ferite, alla cui malia non si sfugge. E un romanzo, Cime tempestose, un romanzo come non ne sono mai stati scritti prima, come non saranno mai più scritti dopo. Lo si è voluto paragonare a King Lear. Ma, veramente, non a Shakespeare fa pensare Emily, ma a Freud; un Freud che alla propria spregiudicatezza e al proprio tragico disinganno unisse le più alte, le più pure doti artistiche.”
La mancanza dell’affetto materno e l’educazione rigida ed austera impartita dal padre, impedirono alla giovane e dolce Emily di aprirsi alle relazioni affettive: ritirata e chiusa in se stessa la donna giunse alla morte senza aver conosciuto l’amore, eppure fu in grado di sondare fin nel profondo l’animo umano, descrivendo dell’amore le dinamiche più intense e feroci nel suo unico grande capolavoro. Romanzo affine alla narrazione gotica di cui possiede le atmosfere cupe, Cime Tempestose, fu definito, alla sua prima apparizione, “brutale e perverso”, per essere poi consacrato presso i posteri come una memorabile storia d’amore. Innovativo nello stile quanto nei contenuti, è pervaso dalla passionalità e dall’istinto e trasforma la vendetta nell’unico strumento attraverso cui l’amore rifiutato può riscattarsi.
La storia di Catherine e Heathcliff è tristemente nota al popolo lettore: i due crescono insieme grazie al padre di lei che, di ritorno da un lungo viaggio, (r)accoglie Heathcliff, trovatello, nella propria famiglia. Le origini del ragazzo restano un mistero per tutti, protagonisti e lettori, nulla si sa della sua vita prima dell’arrivo alla Tempestosa, quasi come se egli non fosse esistito mai prima dell’incontro con Catherine. Aleggia – ma non viene mai neppure suggerito al lettore se non dall’infinita gelosia di Hindley, fratello di Catherine, che lo ritiene un usurpatore dell’affetto e dei beni paterni – lo spettro di una paternità illegittima, che spiegherebbe lo strano legame di Heathcliff con la famiglia.
La diversa posizione sociale e il degrado in cui il giovane viene gettato alla morte del padre di Catherine innalzano tra i due protagonisti un’insormontabile barriera, che diventa ostacolo al loro rapporto quando Catherine, pur consapevole dei sentimenti amorosi per Heatchliff, sceglie di sposare Edgar Linton, attratta dalla vita agiata della sua famiglia.
Il matrimonio segna l’allontanamento di Heathcliff da ogni sentimento amoroso legato alla purezza, all’affetto e alla dolcezza; egli sopravvive all’abbandono soltanto grazie al desiderio di vendetta che perseguirà nei confronti di Catherine e del marito fino alla fine dei suoi tristi giorni.
Indissolubile è l’amore che lega i protagonisti della vicenda che, tuttavia, non si esplicita mai attraverso l’unione sessuale ma resta un amore platonico, che va oltre il tempo e lo spazio: i due sono intimamente legati. Nulla può separare Catherine e Heathcliff. Né l’odio né l’egoismo… neppure la morte, che anzi finirà per rappresentare la realizzazione della loro unione. Si fondono, in Cime Tempestose, Eros e Thanatos: l’amore può resistere anche alla morte, ma conduce ad una vita di odio ed autodistruzione dalla quale non si può evadere.
E’ evidente che in Cime Tempestose gli occhi di Heathcliff sono quelli della sua creatrice: la capacità di immaginare fece raggiungere ad Emily Brontë le profondità dell’animo umano, fino a toccare il fondo delle emozioni sperimentate con l’amore. “Ho sognato nella mia vita sogni che son rimasti sempre con me e che hanno cambiato le mie idee” – scrisse un giorno Emily – “son passati attraverso il tempo ed attraverso di me, come il vino attraverso l’acqua ed hanno alterato il colore della mia mente”. Pur non avendo mai conosciuto la passione e l’intensità di un legame sentimentale Emily fu del tutto in grado di sperimentare tali stati emotivi attraverso la creatività e la letteratura, coinvolta in un modo così netto dai suoi personaggi da finire per assumerne i tratti. Charlotte, la sorella maggiore, scrisse di lei: “Negli ultimi tempi della sua vita era diventata sprezzante, sdegnosa, inflessibile, quasi sovraumana (…) non piegata dal pensiero della morte che quasi cercò, esponendosi al freddo durante il funerale del fratello”.
Il carattere di Emily subì un forte cambiamento dopo la stesura del romanzo, come se le passioni e gli istinti brutali e feroci del suo personaggio fossero diventati parte di lei. Anche ella attese la morte senza alcuna paura, considerandola forse l’inizio di una nuova vita. Come Heathcliff, che si abbandonò alla morte al solo scopo di raggiungere l’unione totale con l’amata Catherine, Emily visse il trapasso come l’inizio di un viaggio che non le era stato concesso compiere su questa terra.
Sara Di Somma
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