La maternità è una scelta. Una scelta consapevole, un percorso costellato da gioie (e qualche dolore) durante il quale la donna porta in sé il mistero della vita e costruisce, supportata dal proprio compagno, uno spazio materiale e mentale, nel quale accogliere il nuovo arrivato. Ma non è sempre così.
A volte, il percorso è arduo e la scelta sofferta. A volte una donna non è pronta ad affrontare l’arrivo di un figlio e le condizioni psicologiche, familiari, sociali, economiche decidono per lei, imponendo una scelta che inevitabilmente lascerà un’ombra nella sua vita, un fantasma con il quale fare i conti, pronto a spuntare in qualsiasi momento per ricordarle la strada non presa.
Oggi sono in aumento le madri segrete dell’Italia e ogni anno il fenomeno cresce vertiginosamente: sono circa 400 i bambini messi al mondo e lasciati alle cure degli ospedali, in attesa del proprio futuro, da una donna che non conosceranno mai. Il dato è stato diffuso dal quotidiano “La Repubblica” che ha condotto un’inchiesta negli ospedali e tra le associazioni di volontariato che operano nell’ambito del sostegno alla maternità e all’infanzia: le mamme possono ripensarci entro 3 mesi, in caso contrario l’ospedale avvierà il bambino ad un percorso di adozione nazionale, se sano e senza difetti, o lo affiderà ad un istituto se portatore di handicap, e per la madre non ci sarà più possibilità di tornare indietro.
La maternità diventerà una strada non percorsa, il bambino una svolta non presa.
Spesso le madri segrete non hanno neppure il coraggio di tenerli tra le braccia i loro piccoli, nel timore che quello sguardo sfondato si impossessi dei loro occhi, rendendo ancor più difficile il distacco una volta giunte al bivio. Purtroppo la storia di queste mamme disperate è vecchia quanto il mondo: un secolo fa l’anonimato era garantito dalle cosiddette ruote degli esposti, cui madri senza speranza potevano affidare il proprio bambino affinché fosse accolto da persone in grado di prendersene cura; curioso – e questo esplicita la portata del fenomeno anche all’epoca – è che il cognome più utilizzato nella città di Napoli, Esposito, si faccia risalire proprio ai cosiddetti bambini esposti all’interno delle ruote.
Oggi, a causa dell’aumento dei casi di abbandono e della ribalta di casi drammatici di neonati lasciati nelle strade o nei secchi della spazzatura (questi ultimi più rari, per fortuna, e spesso collegati a problematiche psichiche oltre che alla disperazione), nonostante esistano ancora i vecchi metodi – come lasciare il neonato sulle scale di una chiesa o affidarlo agli ospedali subito dopo il parto – è possibile anche ricorrere alle innovative culle termiche, le ruote degli esposti del ventunesimo secolo.
Installate dal progetto“Ninna ho”, le culle termiche si trovano, per ora, soltanto in alcuni ospedali d’Italia (siti a Napoli, Roma, Parma, Milano, Varese): attraverso una finestra nascosta dietro una tapparella, il neonato viene deposto in una culla all’interno di un luogo protetto; la stanza, mantenuta a temperatura costante, è dotata di un sensore volumetrico che avvisa il neonatologo di turno della presenza del nuovo arrivato. Il bambino viene, dunque, immediatamente accolto e visitato, prima di essere affidato alle cure della struttura ospedaliera, dove sarà ricoverato in attesa di adozione.
Sono tanti e dolorosi i motivi che spingono queste donne a non riconoscere i loro figli e partorire nell’anonimato: una gravidanza derivante da violenza sessuale, una famiglia intransigente che non accetterebbe un figlio “capitato” per sbaglio, una situazione economica disastrata, la fragilità e l’insicurezza, la paura di essere espulse se si è immigrate clandestine o di dover crescere un figlio da sole in un paese straniero – “quante badanti messe incinte dai datori di lavoro e poi cacciate”, racconta Grazia Passeri, presidente di Salvabebè, associazione di volontariato che sostiene le donne in gravidanza. Il 70% delle madri segrete sembra, infatti, essere composto da donne immigrate, ragion per cui per prevenire il fenomeno e prospettare un aiuto concreto per queste donne in difficoltà diviene necessaria l’informazione, magari attraverso volantini in lingua straniera, circa le possibilità offerte dalla legge italiana; in relazione al parto anonimo, garantito dal D.p.r. 396 del 2000 che sancisce anche il divieto di effettuare ricerche sulla paternità, oltre che all’aborto legale, indicando le strutture alle quali rivolgersi, dove saranno garantiti aiuto, anonimato ed uno spazio psicologico nel quale essere accolte e supportate. Il restante 30% è composto, invece, da giovanissime ragazze italiane; in entrambi i casi, molte sono alla prima gravidanza. Inoltre dai dati emerge che la maggioranza di parti anonimi (48,7%) avviene nel Centro Nord, dove, secondo l’inchiesta de “La Repubblica”, “gli ospedali sono grandi, la legge è un po’ più conosciuta, ed è più facile nascondersi tra la folla”.
In nessun caso, comunque, queste donne meritano giudizi e condanne: una madre sa cosa è meglio per il proprio bambino e, a volte, il distacco è soltanto un tentativo di donargli un futuro migliore.
Sara Di Somma
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