Negli ultimi anni le saghe fantasy di Harry Potter e Twilight hanno davvero spopolato: grandi e piccini cresciuti con Harry Potter hanno seguito la storia del giovane mago creato dalla Rowling per sette lunghi volumi (il primo uscito nell’ormai lontano 1997), mentre tra i fan di Twilight si annovera soprattutto la popolazione femminile, innamorata dell’affascinante vampiro protagonista e sognatrice di una storia d’amore che abbia la stessa intensità di quella narrata dalla Meyer.
Grande è il tumulto che si è creato intorno ad ognuna di queste saghe: i fans si incontrano all’interno di community virtuali dove, grazie alla passione comune per i propri beniamini di carta e inchiostro, instaurano legami di amicizia reali; in rete si battaglia per stabilire quale delle due vicende sia più emozionante ed entrambe le fazioni sono attualmente in attesa della trasposizione cinematografica dell’epilogo della saga prediletta (Harry Potter e i doni della morte – Parte 2 in uscita Luglio e Breaking Dawn – parte 1 e parte 2 attesi rispettivamente a Novembre 2011 e Novembre 2012). Tuttavia appare evidente che, nonostante le differenze tra le storie, la caratteristica che accomuna le saghe sia l’impronta indelebile lasciata nell’animo e nella vita dei lettori.
Da anni la psicologia indaga la relazione che si costruisce tra il libro e il lettore, quel rapporto di reciproca influenza in cui l’impegno del lettore va ben oltre la semplice elaborazione dell’informazione ed il suo coinvolgimento è tale da generare la proiezione delle proprie concezioni sul testo e, nel contempo, la partecipazione emotiva a quanto letto: i testi narrativi, per le loro peculiarità, sono i testi che più di ogni altro chiamano in gioco l’affettività e le emozioni in tutte le loro possibili sfaccettature; “ovviamente, non si può tenere la mano ad un libro, né un libro può asciugarti le lacrime quando sei triste. Eppure sperimentiamo un legame umano, senza relazione reale, attraverso la lettura” ha dichiarato la dr.ssa Gabriel presentando la sua recente ricerca, “Come diventare un vampiro senza essere morso”, condotta con la dottoranda Ariana Young.
La ricerca, di prossima pubblicazione sulla rivista Psychological Science della Association for Psychological Science, ha analizzato un campione di 140 soggetti – tutti studenti universitari – cui, dopo essere stati divisi in due gruppi è stato richiesto di dedicare 30 minuti ad una piacevole lettura: un gruppo ha letto un brano estratto da Twilight, in cui Edward, il vampiro protagonista, parla del suo interesse romantico per Bella Swan e di quanto l’essere un vampiro condizioni la loro unione; mentre al secondo gruppo è stato consegnato un brano estratto da Harry Potter e la pietra filosofale, in cui è descritto il momento dello “smistamento”, ovvero l’arrivo di Harry alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, il suo ingresso nella casa di Grifondoro e il primissimo incontro con il professor Piton. La lettura aveva come unico scopo il puro, personale piacere del lettore.
Ai soggetti sono stati, poi, somministrati alcuni compiti per valutare la connessione psicologica con i personaggi della vicenda letta, dunque con la categoria “vampiri” e la categoria “maghi”. In questa fase, è stato chiesto loro di classificare le parole fatte apparire dalle ricercatrici su uno schermo, al Sé (io, mio, ecc…) e alla categoria “mago” (bacchetta, pozioni, magia, ecc…), utilizzando un bottone specifico, oppure alla categoria “non- Sé” (essi, loro, ecc…) e alla categoria “vampiro” (sangue, denti, non-morti, ecc…), utilizzando un diverso bottone. L’esercizio è stato ripetuto, con le istruzioni invertite, con il gruppo di lettori di Twilight. In entrambi i casi le parole sono state riconosciute, in modo molto più rapido, come appartenenti al Sé quando erano relative al gruppo di appartenenza del personaggio del proprio libro.
In una seconda fase, ai soggetti coinvolti è stato somministrato un questionario, definito Twilight/Harry Potter Narrative Collective Assimilation Scale, per valutare il grado di identificazione con i personaggi dei brani letti, attraverso domande quali “Credi che i tuoi denti siano affilati?” oppure “Credi di poter scomparire e poi riapparire in un posto diverso?”; mentre la terza fase è stata riservata alla condizione personale dei singoli partecipanti, con un questionario riguardante il grado di soddisfazione circa la propria vita e il proprio stato d’animo.
Dai risultati è emerso che i lettori del brano di Harry Potter e la pietra filosofale sembravano aver assimilato e fatto propri, i tratti tipici della popolazione magica, mentre lo stesso accadeva con le caratteristiche vampiresche per i lettori di Twilight. L’assimilazione sembra più forte in persone che riescono a sperimentare un alto grado di identificazione se inseriti all’interno di un gruppo, come se le caratteristiche psicologiche individuali potessero orientare la lettura e renderla un’esperienza unica.
Ovviamente, nonostante il titolo della ricerca sia molto evocativo, i lettori non si “sentono realmente” maghi o vampiri, ma riescono piuttosto ad assimilare nel proprio stato cognitivo ed emotivo le caratteristiche del gruppo di appartenenza del personaggio della storia letta perché è con questo che si sono identificati.
L’identificazione nell’ambito della lettura è, infatti, resa possibile dall’universale tendenza dell’essere umano a categorizzare ciò che lo circonda, ad inserire persone e fenomeni in categorie specifiche che ne definiscano i principali tratti e le caratteristiche. Lettore e autore condividono questa tendenza che, a prescindere dall’esistenza fittizia del personaggio, permette di riconoscere le peculiarità altrui nonché di rafforzare la propria identità sociale, rendendo il singolo individuo parte di un gruppo con il quale si condividono degli aspetti e degli atteggiamenti.
Ancora una volta, la psicologia dimostra che la lettura non può essere considerata uno strumento meramente formativo e che il piacere di leggere risiede nella possibilità di soddisfare, attraverso questa attività, bisogni psicologici molto profondi, quali il desiderio di entrare in relazione con gli altri e di appartenere alla comunità/gruppo di cui si “vivono” le vicende scritte. Non significa “essere” vampiri o maghi, ma entrare in empatia con il personaggio, al punto da comprenderne lo stato mentale e psicologico, fino a sperimentarne le emozioni così come descritte nel testo. Questo fenomeno è molto articolato perché permeato da una doppia componente: da un lato la componente emotiva, che orienta il processo, dall’altro quella concettuale, che implica la possibilità di riconoscere nell’altro le proprie concezioni del mondo e del Sé e, in virtù di tale riconoscimento, di sentirsi a tutti gli effetti “protagonista” della storia.
Sara Di Somma
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