Uno studio condotto dall’università di Oxford avanza l’ipotesi che le donne stressate potrebbero avere più probabilità di concepire una femmina rispetto a chi ha una vita più tranquilla. La ricerca sostiene di aver trovato nello stress un fattore potenzialmente in grado di influenzare il misterioso meccanismo che determina il sesso dei bambini. Ma gli esperti invitano alla cautela, che è d’obbligo in questi casi, in quanto il campione è ancora troppo piccolo e potrebbe trattarsi di una versione più moderna delle teorie basate su cicli lunari e posizioni.
Nello studio i ricercatori hanno preso in esame 338 donne britanniche che stavano provando ad avere un figlio, monitorandone il livello di stress e lo stile di vita. Alle donne è stato chiesto di annotare su un diario informazioni sulla propria giornata e sulla propria vita sessuale. Parallelamente sono state misurate le oscillazioni di due ormoni legati allo stress, il cortisolo e l’alfa-amilasi. Mentre il primo è correlato agli effetti dello stress a lungo termine (come ad esempio le condizioni economiche, il lavoro e i problemi di salute) l’alfa-amilasi viene rilasciata dall’organismo in seguito a eventi di stress temporaneo (come possono essere un ingorgo in autostrada o una litigata). Durante il periodo di indagine (circa sei mesi), delle 338 donne che hanno partecipato allo studio 130 sono rimaste incinte e hanno dato alla luce 72 bambine e 58 maschietti. Secondo la Dottoressa Cecilia Pyper, la ricercatrice del Dipartimento di salute pubblica di Oxford che ha guidato lo studio, i risultati potrebbero indicare una correlazione tra lo stress cronico della mamma e il sesso del nascituro. Più la madre sarebbe stressata, in particolare, più aumenterebbero le possibilità che nella culla arrivi una femmina. “Nella nostra indagine abbiamo osservato che le probabilità di avere un maschio erano più basse del 75% tra le donne con alti livelli di cortisolo”, ha spiegato Pyper. Per l’alfa-amilasi, invece, non sono state trovate correlazioni rispetto al sesso, anche se le donne in cui questo ormone era in eccesso hanno impiegato in media più tempo per rimanere incinte.
Lo studio cita come esempio i mesi successivi all’attacco terroristico al World Trade Center (11-09-2001), quando nella città di New York si registrò un calo dei “baby-boys” rispetto alle normali statistiche. Stessa cosa – suggeriscono gli studiosi – potrebbe essersi verificata con il caos economico che ha seguito la caduta del Muro di Berlino, dopo la quale nacquero, nella ex Germania dell’Est, meno maschi rispetto alle aspettative. È la stessa ricercatrice, tuttavia, a sottolineare che i risultati del suo lavoro necessitano di ulteriori verifiche e approfondimenti. “È importante inserire questa nuova informazione nel giusto contesto, riconoscendo che si tratta di uno studio ancora piccolo e che l’ipotesi deve essere messa alla prova su popolazioni più ampie”, ha aggiunto.
Lo studio fa parte di una linea d’indagine mirata a comprendere quali sono gli elementi che influiscono sulla salute dei nascituri e su quella delle madri. Come ha continuato Pyper, “stiamo cercando di capire quali fattori possono influenzare le probabilità che una gravidanza vada a buon fine e proceda nel migliore dei modi”. In studi precedenti, il gruppo anglosassone aveva già identificato nell’ansia e nello stress due fattori teoricamente capaci di provocare problemi durante la gravidanza e nelle fasi di sviluppo del bambino. La ricerca, in ogni caso, non è la prima a concentrarsi sugli stili di vita materni in quanto ipotetici fattori in grado di favorire uno dei due sessi nel nascituro. Come già suggerito nel 2008 da uno studio sempre anglosassone, l’apporto calorico assunto dalle mamme nei giorni del concepimento potrebbe avere un effetto sul colore del fiocco. Allora emerse che mamme con una dieta a maggiore contenuto calorico, e in particolare quelle che assumevano cereali a colazione, avevano maggiori probabilità di dare alla luce un maschio. Per quanto strano possa suonare, questo fenomeno sembra verificarsi in molti altri animali che, in condizioni di abbondanza alimentare, tendono ad avere una prole maschile più numerosa. Tuttavia, anche in questo caso è necessario attendere la conferma da parte di studi indipendenti, poiché le osservazioni sono basate su un campione troppo poco numeroso.
Prevedibilmente, lo studio di Pyper ha suscitato qualche perplessità. “I risultati non significano necessariamente che lo stress sia il motivo della prevalenza di femmine nel campione analizzato”, ha detto ad esempio Allan Pacey, professore dell’ Università di Sheffiel. “È possibile che lo stress misurato nello studio sia in realtà indicativo di altri aspetti della vita di queste donne, come il lavoro, l’alimentazione o fattori che hanno a che fare con le loro relazioni. Tutti questi elementi possono essere in qualche modo collegati alle proporzioni tra i due sessi”. “Penso che sia importante far capire alle coppie che non c’è un modo sicuro per influenzare il sesso del loro bambino, anche perché la natura ha una capacità meravigliosa di bilanciare le parti e fare il suo lavoro”, ha aggiunto l’esperto. “Così, anche se osservazioni di questo tipo si sentono abbastanza spesso, in generale nel mondo c’è sempre più o meno lo stesso numero di maschi e di femmine. Cambiare degli aspetti della propria vita nel tentativo di far pendere l’ago della bilancia da una parte piuttosto che dall’altra non ha molto senso. Le coppie dovrebbero vivere la curiosità per il sesso del proprio bambino come la più bella e imprevedibile delle sorprese”.
Federica Formisano
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