Non seguo i campionati di automobilismo e di motociclismo, un po’ perché li trovo pericolosi e un po’ perché lo sfrecciare dei mezzi sullo schermo mi da fastidio. Come non seguo il tennis per il fatto che il tic-tac della palla e le grida sguaiate delle tenniste mi irritano. Il 23 ottobre dell’anno scorso, quindi, non ero particolarmente in fibrillazione, anzi non lo ero affatto. Ero in un ridente paesino laziale con il mio stand di “Racconti su misura”, per un evento dedicato alle spose. Con il computer acceso e connesso cercavo di leggere la mia posta, mentre il pubblico sfilava distratto davanti agli stand. “Dai, guardami il gran premio, voglio sapere i risultati”, insisteva mio marito alle mie spalle. Sbuffando cercai un sito dove si parlasse del gran premio della Malesia, sul circuito di Sepang. Fu così che mi imbattei nelle prime drammatiche immagini dell’incidente. In breve un coro di stupore e di meraviglia mista ad incredulità si levò nelle sale del castello Savelli che ospitava la manifestazione. Tutti erano sinceramente addolorati per l’accaduto. Io non sapevo molto bene chi fosse questo povero ragazzo che aveva perso la vita in un tremendo incidente e non starò a dire di lui quello che hanno già detto tutti. La cosa che mi colpì immediatamente fu la giovane età del “pilota”, del “campione”, dell’ ”uomo” Simoncelli. Marco era coetaneo di mio figlio. Era un ragazzo che avrebbe dovuto avere tutta una vita davanti e che improvvisamente non si ritrovava più niente. E che improvvisamente lasciava tutti i suoi cari senza più niente di lui.
Non ho più voluto vedere le immagini dell’incidente, non ho visto il funerale in televisione, non ho più cercato notizie del “Sic”, perché mi faceva male, come se fosse un mio parente stretto. Quest’oggi, per scrivere questo inutile omaggio, che non gli restituirà la vita e la gioia, ho fatto un giro sul web e mi sono costretta a rivivere per un attimo la tragedia. Mi sono obbligata a guardare un video in cui lui, con gli stessi vestiti che indossava mio figlio da piccolo, con la stessa bici, con gli stessi giocattoli, con lo stesso modello di biberon, giocava esattamente come faceva il mio bambino alla sua età, negli stessi anni novanta. Mi rivedo passare la notte in bianco, cercando di tacitare il mio bambino urlante con una ninna nanna Romana, mentre alla stessa ora una mamma di Coriano, in sonoro accento Romagnolo, cerca di placare il suo piccolo Marco piangente….
Ed è una madre che guarda le immagini sul web, non una sportiva o una tifosa di Marco. Non credo che lo rifarò ancora. Fa veramente troppo male avere continuamente sotto gli occhi l’immagine di chi non è più con noi. E tutti gli omaggi, doverosi e sinceri testimoni dell’amore e della stima che tanti avevano per lui, sono perfettamente inutili. Nessuno di quelli che lo amarono lo dimenticherà. Non è necessaria una targa a Sepang, fa trasalire vedere tutti quei numeri 58 correre per i circuiti ….
Ma è la magra consolazione di chi rimane. Parlarne e agire come se fosse ancora tra noi o dovesse tornare da un momento all’altro.
Povero, sfortunato Marco, che resterai per sempre ragazzo nei nostri ricordi! Povero, sfortunato Marco, quali altre parole posso usare, che non siano già state usate e abusate per parlare di te, per salutarti ancora una volta?
Forse le parole di una mamma.
“Sta attento, mi raccomando….. Non correre………”
Elisabetta Piras
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