Definire la sua vita “raggiante” sarebbe un gioco di parole troppo scontato per rendere omaggio alla grande scienziata polacca. Definirla “esplosiva” forse non sarebbe consono. Marie Curie è sicuramente una donna fuori dall’ordinario: l’aggettivo più adatto per descriverla sarebbe “ardente”. Ma anche: tenace, intuitiva, appassionata e filantropa.
La tenacia è quella che ha animato Marie Curie, Maria Sklodowska, nei primi anni di vita: nata in Polonia da una famiglia cattolica e numerosa, ultima di cinque sorelle, Maria dovrà lottare contro i pregiudizi di una mentalità brutalmente restrittiva – figlia del conservatorismo di stampo russo – che ancora vietava alle donne di intraprendere la carriera accademica. Bambina intelligente e vivace, Maria trascorrerà i suoi primi anni di formazione nella gabbia dorata della sua città natale, Varsavia, che le chiudeva in faccia le porte dell’università, coltivando l’aspirazione lontana alla carriera scientifica. La scienza è una passione ereditata dal padre professore: con lui esplorerà inizialmente i misteriosi e impervi terreni della matematica e della fisica, per seguire i quali sarà costretta a emigrare a Parigi (la fuga dei cervelli che si ripete, oggi come allora), dove una politica occidentalizzata più libertina ha già aperto alle donne i cancelli della Sorbona. La Francia le cambierà nome – da Maria a Marie – e vita, regalandole l’Incontro per eccellenza, di quelli che si fanno una volta nella vita: Pierre Curie, all’epoca ricercatore alla Sorbona, noterà non solo l’inestimabile talento della giovane promessa della chimica, ma anche quell’indiscutibile aura di fascino che sempre irradia (è il caso di dirlo!) da una donna intelligente: egli sarà allo stesso tempo suo marito e mentore nell’ambiziosa ricerca che condusse Marie a isolare uranio, polonio e radio, scoprendone le caratteristiche radioattive. Qui entra in gioco la sua formidabile intuitività: Marie Curie è madrina accidentale di una scoperta rivoluzionaria, che confuta per la prima volta dopo Democrito la tesi dell’indivisibilità dell’atomo, aprendo alla scienza strade sperimentali fino allora mai immaginate –dagli odierni, purtroppo tragici, risvolti. Una scoperta che assume un valore ben diverso da quello attribuitole negli intenti originari da Marie, che ne fece oggetto della sua tesi di dottorato, all’epoca ancora ignara della risonanza che i suoi studi avrebbero avuto sulla comunità scientifica.
Marie non era ancora scienziata; ancora non sapeva che quelle scoperte l’avrebbero resa vincitrice di ben due premi Nobel – come nessun’altra donna nella storia: prima per la fisica (1903) insieme al marito Pierre Curie e poi per la chimica (1911) – e che sarebbero state vettore dell’evoluzione della scienza contemporanea, mostrando alla comunità scientifica la (purtroppo) controversa direzione che ha portato poi dalla bomba atomica alle centrali nucleari. Ma quei tempi erano ancora lontanissimi: compreso l’inestimabile valore delle sue scoperte, Marie Curie non poteva prevederne le applicazioni future. Questa è la fase della sua vita in cui Marie dà prova di un’altra sua dote, la filantropia: non solo sceglie di non depositare alcun brevetto per rivendicare la paternità dell’isolamento del radio e di lasciare un’eredità “libera” all’intero mondo della scienza, ma si impegna anche a rintracciare applicazioni efficaci delle sue scoperte. La morte di Pierre Curie (1906) la lega ancor più saldamente alla vita: durante la Grande Guerra Marie è sui campi di battaglia con le sue unità mobili di soccorso diagnostico dei feriti, soprannominate petits Curie, una vera e propria “radiologa ante-litteram”.
Molti di voi a questo punto si staranno domandando: e la passione? Dov’è la passione? Come spesso accade a quei personaggi che vengono ricordati per aver cambiato il corso della storia, la loro vita privata passa spesso sotto silenzio, rivelandosi talvolta deludente, talvolta scandalosa. Marie Curie non è esente a questa regola empirica. La passione che la anima è certamente quella per la scienza, per cui continua a prodigarsi raccogliendo fondi in USA e finanziando la fondazione di un centro di ricerca a Parigi, ma anche quella per la vita. Marie Curie, una delle menti più brillanti della scienza moderna, non cessa di essere una donna: all’immenso amore per suo marito seguirà, dopo la sua morte, la travolgente passione per un allievo di lui, Langevin, con cui la Curie inizierà una tormentosa relazione extra-coniugale – Langevin era già sposato e aveva quattro figli – che diventerà un fardello insopportabile quando la moglie di lui la svergognerà con la stampa, tanto da mettere in dubbio l’assegnazione dell’ultimo Nobel. Una macchia oscura sulla carriera impeccabile della scienziata che fortunatamente però non ne ha offuscato la luce. Una donna appassionata, Marie Curie. E tenace, anche. Da bambina, come da adulta. Tenace al punto da portare avanti la sua relazione con Langevin ad onta dell’opinione pubblica internazionale, tenace da resistere alle ustioni che il radio le provocava sulla pelle delle mani – descritte in molti dei suoi appunti, che oggi sono custoditi in bare di piombo, considerati ancora radioattivi! La sua tenacia la ucciderà: morirà sessantasettenne a causa di un’anemia aplastica, contratta certamente in seguito alla prolungata esposizione alle radiazioni. Chissà quanto ancora avrebbe potuto regalare alla scienza, e alla vita, una donna della sua tempra se non fosse rimasta vittima (tradimento!) della sua stessa affascinante, insidiosa creatura.
Giuliana Gugliotti
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