Un altro pezzo della storia napoletana rischia di essere strozzato dai debiti e dalla burocrazia del nostro complicato paese. Dopo la vicenda legata alla libreria Treves, finisce in tribunale anche l’Archivio Fotografico Parisio, al centro di un’intricata vicenda giudiziaria che vede contrapporsi il Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno (FEC), il Ministero per i Beni Culturali e il fotografo Stefano Fittipaldi, direttore dell’archivio dal 1995 – quando impedì, a sue spese, che la collezione fosse dislocata fuori città – e fondatore dell’Associazione “Archivio Fotografico Parisio”.
Nei locali di piazza del Plebiscito, che furono sede dello studio fotografico di Giulio Parisio dal 1926, l’Archivio Fotografico – dichiarato di rilevante interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per la Campania – ospita circa un milione di negativi, opera dei fotografi Giulio Parisio e Roberto Troncone (che fu anche fondatore della Partenope Film, di cui si conservano documenti e foto di scena), e documenta per immagini un secolo di storia campana, grazie anche all’apporto di collezioni fotografiche minori. L’archivio è liberamente consultabile, curato e valorizzato dall’associazione di Fittipaldi che, oltre ad ospitare mostre ed organizzare iniziative e pubblicazioni legate all’arte della fotografia, si sta occupando della digitalizzazione dell’enorme mole di materiale al fine di garantire una maggiore fruibilità delle collezioni custodite.
Ritratti, paesaggi, fotografie che raccontano usi, costumi e vita dei lavoratori campani del ‘900 sono ospitati dai locali del porticato San Francesco di Paola che, dopo il Concordato, furono affidati al Fondo Edifici di Culto che, oggi, chiede a Fittipaldi affitti arretrati per ben 200mila euro. Si, perché solo alcuni anni dopo aver acquisito la bottega Parisio, Fittipaldi ha scoperto che il contratto d’affitto non era stato rinnovato dagli eredi dell’artista dal lontano 1993 e che egli stesso risultava occupante abusivo dei locali, almeno fino all’anno 2000. Ed è proprio in quegli anni che la situazione per l’Archivio fotografico si fa più complicata, con l’apposizione, da parte della Soprintendenza regionale, del vincolo che impedisce a Fittipaldi di spostare la propria attività in virtù del riconoscimento ottenuto dalla bottega di piazza Plebiscito e dalle collezioni in esso ubicate di luogo di rilevante interesse storico.
Il vincolo impone al fotografo di restare nei locali e, dunque, di risarcire allo Stato il suo debito: in pratica, visto l’ammontare della cifra, lo obbliga a permanere in una condizione di occupazione abusiva della bottega.
“Non chiedo soldi – dichiara oggi Fittipaldi – ma una collaborazione con le istituzioni per salvare un patrimonio che è della città. Io penso che siamo di fronte non a un fitto di locali, ma a una concessione: io gestisco un archivio vincolato in locali vincolati, né se vado via io i locali potranno essere destinati o fittati ad altri, perché il fondo fotografico è inamovibile”. Insomma, una situazione ingarbugliata che finisce per defraudare cittadini e turisti impedendo la giusta fruizione di un patrimonio inestimabile della cultura locale, e testimonia l’ennesimo paradosso all’italiana. La vicenda, infatti, contrappone un ministero ad un altro, in una lotta Stato contro Stato che, per culminare nell’assurdo, vede coinvolto un unico avvocato, in qualità di difensore tanto del Ministero dei beni culturali quanto del Ministero dell’interno. Per lo mezzo si ritrova il fotografo napoletano che, dopo aver fatto della valorizzazione culturale dell’archivio Parisio una passione e una missione, si ritrova incastrato nelle beghe intestine dei nostri burocrati.
Sara Di Somma
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