Al presidente Napolitano non è riuscito a sottrarre la riforma del federalismo alle maglie dello scontro politico. All’ira e alla preoccupazione dei giorni scorsi per la guerra poteri dello Stato, si è aggiunta ieri la forte delusione per come è maturata una nuova situazione di stallo e di scontro istituzionale. Una delusione che riguarda innanzitutto il comportamento dell’opposizione, Pd in testa, dopo l’invito che Napolitano ha avanzato nel discorso tenuto a Bergamo due giorni fa.
Tutti i resoconti hanno enfatizzato il passaggio nel quale il presidente chiedeva di uscire dalla «spirale di scontro». Nella sua formulazione integrale, il discorso recitava così: «Vorrei aggiungere una considerazione che giudico fondamentale. Per portare avanti riforme che sono all’ordine del giorno – e mi rivolgo a quanti sollecitano decisioni annunciate in nome del federalismo e ormai giunte a buon punto – per portare avanti l’attuazione di quel nuovo Titolo V della Costituzione che fu condotto dieci anni fa all’approvazione del Parlamento e del corpo elettorale da una maggioranza di centrosinistra ed è stato avviato a concrete applicazioni da una maggioranza di centrodestra, è stato decisivo e resta oggi decisivo un clima di corretto e costruttivo confronto in sede istituzionale. Si esca dunque da una spirale insostenibile di contrapposizioni, arroccamenti e prove di forza da cui può soltanto uscire gravemente ostacolato qualsiasi processo di riforma».
Ciò che andava evitato, secondo Napolitano, era proprio lo stallo che si è verificato ieri in bicamerale, dato che il risultato di pareggio era ampiamente prevedibile e pronosticato. Ora l’iter per rimettere davvero in moto la riforma è complicato. E l’approvazione lampo di un decreto legislativo da parte del Consiglio dei ministri straordinario di ieri sera ha peggiorato la situazione, perché è del tutto irrituale – a dir poco – che un esecutivo legiferi su un testo di legge bocciato il giorno stesso dal Parlamento. Sarebbe invece bastato raccogliere l’assist contenuto nella conclusione del discorso di Bergamo per evitare di dover ricorrere a questa frettolosa toppa: si poteva congelare il passaggio in commissione, prendere tempo per limare e aggiustare le parti più controverse della riforma. E Napolitano s’aspettava che l’opposizione desse per prima prova di responsabilità, vista la disponibilità con cui la maggioranza ha cercato di andare incontro ad alcune delle richieste di modifica. Invece il capo dello Stato ha preso atto con rammarico del silenzio del Pd su questo punto specifico e quindi assistito con qualche stizza all’immediato riaccendersi dello scontro verbale quando all’intervento conciliante di Berlusconi («Sono d’accordo col Colle sull’abbassare i toni») ha fatto subito seguito una serie di stroncature della credibilità del premier, da Pier Luigi Bersani in giù.
E quanto al Colle continui a stare a cuore l’approvazione di una buona riforma era dimostrato da un altro passaggio del discorso di Bergamo: «Riflettiamo anche sui vizi di origine del nostro Stato nazionale, perpetuatisi e aggravatisi in determinate fasi dei successivi 150 anni. Lavoriamo per riformare e rinnovare quel che è necessario, nel solco dei grandi princìpi e indirizzi della Costituzione repubblicana».
Riproduzione Riservata ®