Grande euforia mondiale per l’avvio delle Olimpiadi di Londra. Eppure qualche nota stonata deve sempre esserci. Lacrime di gioia o di delusione sono di routine, ma fatto parte dello spettacolo. Pettegolezzi e fuori programma restano (quasi) da manuale per queste competizioni sportive. Coloro che proprio non riescono a trovare una propria “collocazione” sono le atlete saudite.
Ne avevamo parlato già in due occasioni. In primis proprio per raccontare la loro cultura e le tradizioni del loro Paese; in secondo luogo per la (non propriamente sostenuta) partecipazione all’edizione 2012 di Londra. Il problema era sempre la Sharia, la legge islamica che prevede il rispetto di alcuni comportamenti. In quest’ultimi è compreso anche il modo di vestirsi, oggetto di discussioni da anni – e non solo per la partecipazione a competizioni sportive miste.
Se ne parla in questi giorni di Wodjan Ali Seraj Abdul Rahim Shah Khan. Lei, giovane judoka, sta “lottando” per poter concorrere. Purtroppo le regole del gioco si scontrano contro la sharia, uno scontro tra titani. Nessuno è disposto a cedere. Da un lato la Federazione proibisce, per ragioni di sicurezza, di competere con il velo; dall’altro un padre furibondo incita la figlia a non sottostare a queste regole. Incita, forse, è il termine errato. Il padre dell’atleta diciottenne non autorizzerà la figlia a prendere parte alla gare senza hijab. Intanto il Comitato olimpico spera di poter risolvere il problema prima di venerdì, giorno in cui la judoka dovrebbe concorrere. Purtroppo la condizione “senza velo” è necessaria e non negoziabile nel judo – a differenza dell’atletica, altro sport rappresentato da una donna islamica. Dalle ultime indiscrezioni sembra che si stia lavorando ad un velo disegnato appositamente per la gara. In tal modo il problema sicurezza sarebbe stato aggirato, insieme agli impedimenti della Sharia.
E la risposta dal Paese d’origine? È Maria Tv. Si tratta della prima tv egiziana in cui tutte le conduttrici sono in nigab. Non le si riconosce. Un velo nero ricopre i corpi di queste donne, anche i guanti nascondono le mani. Solo gli occhi sono visibili, ma nulla più. È un esperimento che permetterà di avvicinare le donne religiose alla televisione. «L’obiettivo – come si legge dalle dichiarazioni di Abeer Shaheer, prima presentatrice del programma televisivo – del canale è di mostrare alla società che ci sono donne in nigab che sono attive, possono avere un ruolo nella società e avere successo, essere medici, ingegneri o personalità dei media».
Le reazioni sono state contrastanti, ma c’era da immaginarselo. Da un lato si evince una spinta alla modernizzazione per le donne religiose; dall’altro, però, i media sono spettacolarizzazione e induzione del desiderio dell’uomo sul corpo (o di quello che si vede) della donna. Mohamed Abdel Maksoud ha colpito duro. L’integralista è convinto che le donne non debbano proprio apparire in televisione; secondo lui «c’è un solo motivo: dire al mondo intero “guardatemi”. Le donne non compaiono in video per garantire un lavoro che gli uomini non sono in grado di fare, bensì per seguire il modello dell’Occidente ateo». Alaah Ahmed – direttrice esecutiva dell’emittente, nonché giornalista – non si è lasciata intimidire da queste parole che definisce “non obbligatorie da seguire”. È il loro modo per servire la religione, anche se la Sharia non prevede l’uso del makeup.
Da un lato abbiamo un’atleta che, non autorizzata dal padre, potrebbe concorrere ad una gara sportiva solo se il velo disegnato appositamente per le Olimpiadi sarà accettato dalla Federazione Internazionale; dall’altro donne truccate (ma coperte) possono presentare trasmissioni televisive anche senza il consenso del pubblico maschile. Sussistono ancora molte contraddizioni per quanto concerne la Sharia e i limiti che questa impone alle donne.
Roberta Santoro
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