Sono due le ragioni per cui guardiamo gli Oscar, si sa: i bei vestiti che sfilano sul red carpet, ma soprattutto quel momento pieno di suspense in cui la busta si apre e il presentatore di turno pronuncia la frase magica “and the Oscar goes to..”. Ed è proprio qui che casca l’asino. Sì, perché i discorsi di ringraziamento dei vincitori sono paradossalmente anche la parte più noiosa da guardare dello show. Quarantacinque secondi. Un miliardo di spettatori in tutto il mondo. Un momento di gloria assoluta che tutti gli attori hanno sognato di vivere prima o poi, ma che la maggior parte di loro riesce miserabilmente a sciupare, dilungandosi in soporifere e inutili liste della spesa di ringraziamenti. Una tendenza che gli organizzatori della cerimonia hanno provato invano a scoraggiare l’anno scorso, introducendo la Thank You Cam, una videocamera installata proprio all’uscita del palco che ha consentito ai premiati di ringraziare mamma, papà, figli, coniugi, agenti e chi più ne ha più ne metta, senza limiti di tempo.
Concisi, divertenti e con qualche lacrimuccia di commozione. Questa la ricetta per un buon discorso di accettazione. E se magari in quei 45 secondi riesce anche di esprimere cosa significhi vincere quella statuetta dorata, la perfezione è a un passo. Non tutti ci riescono. Quando qualcuno vince un Oscar, non si sa mai cosa accadrà. C’è chi piange, chi urla, chi ride istericamente, chi non sa cosa dire e chi ringrazia perfino il panettiere sotto casa. Un acceptance speech degno di restare negli annali di Hollywood sta diventando purtroppo una merce sempre più rara agli Oscar. Nel bene o nel male però alcuni di questi discorsi sono diventati memorabili, come la premiazione dell’attrice Marlee Matlin che nel’75 usò il linguaggio dei segni per ringraziare i suoi genitori, entrambi sordomuti. In attesa di vedere il 27 febbraio cosa sapranno fare le stelle di Hollywood, torniamo indietro nel tempo per rievocare il meglio e il peggio di queste 82 edizioni della notte delle stelle.
Non serve divagare con le parole – come fece Greer Garson per 7 minuti nel 1942 con l’Oscar per La signora Miniver – per pronunciare un bel discorso. Anzi. Alcuni dei momenti indimenticabili degli Academy Awards sono proprio legati ad interventi rapidi e indolori. Quando Alfred Hitchcock vinse il premio alla carriera nel 1967, chi si aspettava un discorso pieno di sense of humor rimase deluso perché il grande regista inglese disse semplicemente “Grazie” e ritornò al suo posto. Altrettanto breve fu Joe Pesci nel 1991. Il suo discorso di ringraziamento per l’Oscar ricevuto con Goodfellas contava solo 6 parole: “E’ stato davvero un privilegio. Grazie”.
Spesso pianificare un discorso può rendere perfetto il momento della vittoria. Ne sa qualcosa Kate Winslet che quando nel 2009 ha vinto come migliore attrice per The Reader ha ammesso di essersi esercitata per quella “parte” così importante da quando aveva 8 anni, solo che allora tra le mani non c’era un oscar dorato bensì una bottiglia di shampoo.
A volte i gesti possono essere anche più efficaci delle parole. Quando nell’edizione del 1999, Sofia Loren apre la busta e urla “Robertoooo…”, l’esplosione di gioia di Roberto Benigni è talmente incontenibile da mandare all’aria la rigida etichetta dell’Academy. La sua camminata sulle sedie così come il suo proposito di “voler fare all’amore con tutti” sono un classico degli Oscar. E se La vita è bella non fosse stata così commovente nessuno gliel’avrebbe mai perdonato.
Altrettanto memorabile è la a dichiarazione d’amore di Cuba Gooding Junior. I suoi “I love you…” urlati alla stessa maniera di Rod Tidwell (il personaggio con cui ha vinto l’Oscar nel 1997 per Jerry Maguire), e il suo rifiuto a lasciare il palco nonostante la musica ne coprisse le parole, resta uno dei momenti più esaltanti degli Oscar, secondo solo allo show di Benigni.
Sapere quando fermarsi è cosa buona e giusta. Quando Halle Berry vinse l’Oscar per Monster’s Ball nel 2002 era ad un passo dal discorso più grande di tutti i tempi. Lei, la prima donna afroamericana a vincere una statuetta come migliore attrice protagonista dedica con le lacrime agli occhi il premio a “tutte le donne di colore che ora hanno una chance, perché questa sera la porta è stata aperta”. Tutto questo prima che una sequela di Thank you venisse a rovinare il suo lunghissimo intervento.
Il discorso tenuto da Tom Hanks in occasione della vittoria del suo primo Oscar per Philadelphia nel 1993 è considerato ancora il migliore in assoluto nella storia della cerimonia. Poetico e patriottico, ma anche pieno di riconoscenza verso il suo insegnante di teatro al liceo “il miglior gay d’america”. Il problema era che il suo insegnante ancora non aveva fatto outing. Una gaffe che ispirerà una celebre scena di In&Out (1997), in cui Matt Dillon annuncia che il suo insegnante Kevin Kline è gay proprio mentre riceve un Oscar.
Alcuni discorsi sono talmente sbagliati da perseguitare un vincitore in eterno. Solo adottare bambini sfortunati ha permesso ad Angelina Jolie di superare il momento più brutto della sua carriera: l’incestuosa dichiarazione d’amore a suo fratello Jamie mentre stringeva tra le mani la statuetta vinta per Ragazze interrotte. E che dire di James Cameron che al momento di ricevere l’Oscar come miglior regista per Titanic rubò una battuta di Di Caprio e urlò “Sono il re del mondo!” salvo poi – all’oscar come miglior film – chiedere a tutti di osservare un minuto di silenzio per le vittime del naufragio del 1912.
Di attori che hanno rifiutato il premio ce ne sono stati tanti. Ma il no più eclatante resta quello di Marlon Brando che nel 1973 – in segno di protesta contro il trattamento riservato agli indiani d’America – delegò ad una donna Apache, Sacheen Piccola Piuma, l’onore di ritirare l’Oscar vinto come migliore attore per Il Padrino.
E secondo voi chi si merita l’Oscar per il miglior Acceptance speech?
Enrica Raia
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