Il rock è leggenda.
Mitico, leggendario rock; sarebbe ben poca cosa senza le sue leggende. Il rock si nutre di leggende, e quella che più affascina i consumatori del rock è una leggenda nella leggenda, la storia della morte di Paul McCartney nella già leggendaria storia dei Beatles. Paul McCartney nasce a Liverpool il 18 Giugno 1942: dopo un’infanzia serena, vissuta nelle orme di un padre, appassionato melomane, trombettista e pianista, due avvenimenti segneranno la sua adolescenza: l’amicizia con un suo vicino di casa, futuro amico e illustre collega, alias George Harrison, e la precoce morte della madre, una tragedia personale che l’avvicinerà all’altrettanto orfano John Lennon, portando, un immenso dolore che conduce a un inaspettato traguardo, alla nascita dei Beatles. Illuminato compositore, nei suoi primi anni di attività Paul McCartney omaggerà la musica di perle immortali come Michelle e Yesterday, pezzi che riuscirono a catapultare una band di quattro ragazzini nell’Olimpo dei geni della musica. E geni lo erano davvero, i quattro Beatles, per riuscire in meno di un decennio a rivoluzionare completamente il mondo musicale. Già, i quattro: se già è difficile concepire l’idea che quattro artisti del calibro di John, Paul, George e Ringo abbiano potuto incontrarsi e lavorare insieme, ancora più difficile è accettare l’esistenza, seppur non confermata, di un quinto impareggiabile talento, un “quinto Beatle” che, chiamato a sostituire Paul McCartney, avrebbe segnato il percorso della musica con altrettante pietre miliari come Hey Jude e Let it be.
La leggenda della prematura morte di Paul McCartney circola da quarant’anni, e ancora gli appassionati, irriducibili rockettari, amano discuterne quando sono a corto di pettegolezzi: si racconta che, in una burrascosa notte del Novembre 1966, Paul, uscito dalla sala prove dopo un litigio con gli altri tre Beatle, si schiantò, alla guida della sua Aston Martin, – forse a causa dell’asfalto sdrucciolevole, forse distratto dall’eccessivo entusiasmo di una giovane autostoppista incinta, in fuga da un fidanzato bigotto che non voleva lasciarla abortire, la “famosa” Lovely Rita, nello scoprire di essere stata “caricata” da mr. Paul McCartney – contro un albero (altri dicono contro un camion, che, coincidenze della vita, era guidato da un cugino di Brian Epstein, manager dei Beatles), restando ucciso, alcuni ritengono addirittura decapitato, nell’impatto. I Beatles erano all’epoca all’apice di un successo che l’annuncio della violenta morte del loro bassista avrebbe inevitabilmente compromesso: rimasti in tre, decisero di mettere tutto a tacere, seppellirono Paul in gran segreto e si misero in cerca di un rimpiazzo. La scelta ricadde, dopo lunghe ricerche, su un ex-poliziotto e aspirante cantante dell’Ontario, tale Billy Campbell, che, forte di una certa somiglianza col defunto Paul, sarebbe stato “educato” dagli altri tre a suonare e cantare come il morto, e “ritoccato” da un chirurgo plastico per attenuare le differenze rispetto all’“originale”. I sostenitori della PID (Paul Is Dead theory) ritengono che fu questa la causa dell’abbandono del palcoscenico da parte dei Beatles, che in effetti non si esibirono più live dopo la presunta morte del loro bassista. Da allora tuttavia, addolorati dalla perdita dell’amico e tormentati dal rimorso di averne ingiustamente taciuto la scomparsa, i Beatles avrebbero tentato di “far sapere al mondo la verità” disseminando i propri testi e le copertine dei dischi di criptici messaggi che, decriptati, condurrebbero all’unica deduzione possibile per i teorici della cospirazione: che Paul McCartney sia deceduto in quel Novembre 1966, e che da allora a recitare la sua parte, e soprattutto a comporre testi immortali come Hey Jude, ci sia stato un sosia.
Fin qui le ipotesi.
Ma il capitolo più interessante della leggenda, almeno per gli amanti del complotto e della crittografia, è sicuramente quello dell’analisi dei “segni” che i Beatles avrebbero disseminato un po’ qui un po’ là per comunicare velatamente la avvenuta morte di Paul McCartney. I segnali individuati sono innumerevoli, elencarli tutti è impossibile: dagli ambigui testi che narrano di incidenti stradali e vita dopo la morte, alle strofe di canzoni che, ascoltate al contrario, veicolerebbero all’orecchio sempre la stessa litania, “Paul is dead”, alle caleidoscopiche, allucinate immagini di copertina dei loro album che conterrebbero indizi grafici di una morte violenta e accidentale, tutte le bizzarrie semantiche, tutta la genialità, a tratti quasi satanica, dell’opera beatlesiana post 1966 (qualcuno, facendo, per questioni di tempistica, risalire l’incidente al 1965, ha rintracciato ambigui indizi addirittura in Revolver e Rubber Soul, i cui pezzi furono in entrambi i casi composti e depositati prima dell’incidente!) sono state identificate come indiscutibili segnali dell’avvenuta morte di Paul McCartney. Due copertine in particolare sembrano ricche di messaggi in codice: andiamo a vederle.
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club band
Uscito nel Giugno 1967, poco dopo la presunta scomparsa di Paul, con la sua copertina ricca di dettagli, l’album è stato una vera e propria miniera d’oro per i cercatori di indizi. L’idea di fondo è che tutti i personaggi reali e mitologici raffigurati stiano prendendo parte al funerale di Paul McCartney. Ai loro piedi ci sarebbe la bara, ricoperta di composizioni floreali che hanno attirato non poco l’attenzione: i fiori gialli, in basso a destra, rappresenterebbero così composti un basso mancino, come quello che utilizzava Paul, a cui manca una delle quattro corde, a simboleggiare la perdita di uno dei membri; oppure, guardando più attentamente si può leggere in quella stessa composizione la scritta “Paul?”. I fiori rossi compongono invece la scritta “Beatles” con l’aggiunta di una “O” finale, che trasformerebbe il nome del gruppo in una frase: “BE AT LESO”, dove “Leso” è diminutivo di Lesotho, località in Africa in cui sarebbe stato seppellito il vero Paul. Infine, per citare solo un ultimo degli altri innumerevoli indizi rintracciati dai mitomani, ponendo uno specchio orizzontalmente, come a voler tagliare a metà la scritta “LONELY HEARTS”, si ottiene un’altra scritta: “1ONE IX HE DIE”, che starebbe a indicare la data della morte di Paul, 11 Novembre, senza contare che nel brano d’apertura dell’album, Paul canta le vicende di un certo Billy Shears, che è stato interpretato come un gioco di parole per affermare “Billy is here”, ovvero, “Billy – alias William Campbell, sosia e sostituto di Paul – è qui”.
Abbey Road
Esce nel 1969, poco dopo la diffusione della leggenda. La famosa copertina ritrae i quattro Beatles a passeggio sulle strisce pedonali di Abbey Road, dove avevano sede gli omonimi studi di registrazione. La prospettiva della foto suggerisce secondo i teorici della PID l’idea di una processione funebre, in cui John Lennon, vestito di bianco, assume il ruolo di officiante, Ringo, in completo nero, sarebbe l’impresario delle pompe funebri, Paul, senza scarpe e con gli occhi chiusi, il morto, e George, coi jeans in tenuta da lavoro, il becchino. Un’interpretazione senza dubbio suggestiva, senza contare la tanto discussa targa del maggiolino bianco parcheggiato sulla sinistra in cui si legge: 28IF, che starebbe a significare che Paul avrebbe avuto 28 anni (in realtà all’epoca ne aveva 27) “se”, “if”, fosse stato ancora vivo, e senza contare l’interpretazione alquanto dubbia delle tre lettere successive, LMW, decodificate come “Linda McCartney weeps” o “wedow”, cosa impossibile visto che, se fosse vera l’ipotesi della morte, Linda non avrebbe mai conosciuto il “vero” Paul McCartney, ma avrebbe sposato il suo sosia. Infine, sul retro di copertina, la S di “Beatles” è spezzata, come a simboleggiare una rottura, e subito accanto, sul muro sembra essere proiettata l’ombra di un teschio. Intervistato in proposito, Paul McCartney (ovviamente il presunto sostituto) avrebbe dichiarato di essersi tolto le scarpe per il troppo caldo, e di aver scattato a piedi nudi le ultime foto; mentre per quanto riguarda il proprietario del maggiolino, i Beatles dichiararono che fu impossibile reperirlo, per questo l’auto con l’ambigua targa comparirebbe nella copertina del loro disco.
Altri indizi “grafici”:
I sostenitori della PID adducono anche altri indizi a sostegno della loro causa: e se da un lato è vero che la musica dei Beatles subì, proprio in quegli anni cruciali, notevoli cambiamenti (ascritti all’ingresso del sosia), abbandonando i ritmi spensierati e ballabili del primo periodo in favore di sperimentazioni psichedeliche e meno fruibili a un orecchio poco esperto, è anche vero che proprio in quello stesso periodo Paul iniziò a gettare le basi per quella che ancora oggi è un’invidiabile carriera da solista, e che fu l’unico a proporre agli altri, ricevendone risposta negativa, un ritorno sui palcoscenici: che Billy Campbell si fosse montato la testa e fosse tanto sicuro di riuscire a ingannare anche un pubblico di migliaia di fans? La questione resta aperta, nonostante le successive, ironiche smentite dello stesso Paul McCartney (“Sono morto? Perché sono sempre l’ultimo a sapere le cose?” dichiarò in un’intervista dell’epoca), che dopo 27 anni dalla sua presunta morte (1993), ha pubblicato un album dal titolo “Paul Is Live”, saltellando in copertina sulle stesse strisce di Abbey Road, sullo sfondo lo stesso maggiolino, sulla cui targa però si legge “51 Is”, cioè “51 è”.
Smentite confermate dalle recenti dichiarazioni del meccanico (italiano) che aggiustò la Aston Martin di McCartney – ora di proprietà di un collezionista – dopo l’incidente, e che dopo quarant’anni e più ha affermato che i danni riportati dalla vettura, pur confermando un urto, non erano tali da far pensare a un incidente mortale. Allo stesso modo, nonostante abbiano fatto tanto scalpore, non possono essere considerati attendibili i risultati di una ricerca condotta da due italiani (l’informatico Francesco Gavazzeni e il medico legale, Gabriella Carlesi) con il metodo della craniometria, che però facilmente può trarre in inganno quando si confrontano delle fotografie, che per prospettiva e luce non potranno mai essere uguali.
Tuttavia, il mistero persiste (ci sarebbe da far luce anche sulla figura di Bettina Huber, figlia illegittima di McCartney la quale ritiene che il padre, pur essendo ancora in vita, abbia effettivamente un sosia) e i segnali lasciati dai Beatles sono veramente troppi per pensare che siano tutti casuali: l’ipotesi più plausibile è che gli stessi Beatles abbiano cavalcato l’onda della leggenda, che inevitabilmente nasce intorno alla vita delle rockstar, avvolgendole in aloni circonfusi di mistero, alimentando i sospetti con piccoli accorgimenti: lo stesso motivo che avrebbe dovuto decretarne l’oblio, la presunta morte di Paul, ne alimentò invece la gloria. Più geniali di così!
Giuliana Gugliotti
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