Riguardo al personaggio di Aldo Moro, tante volte si parla solo del suo tragico rapimento e assassinio: raramente si accenna alla sua vita politica, in altre parole la radice della sua tragica fine.
Qui non si vogliono trarre spiegazioni frettolose su chi realmente lo volle morto, ma semplicemente comprendere i motivi per cui fui considerato un personaggio scomodo.
Ai suoi albori politici, Moro ebbe una simpatia verso la parte socialdemocratica del Partito Socialista (quando ancora era unito), ma ben presto si spostò verso l’area cattolica: quest’ambivalenza lo seguirà per tutta la sua vita, un cattolicesimo moderato, tipicamente sociale.
Si schierò inizialmente con l’attivissima “sinistra” di Amintore Fanfani, salvo poi distaccarsi e accettare (forse anche per motivi caratteriali) la vocazione moderata dei “Dorotei”.
Fu ministro di grazia e giustizia (durante il primo governo di Antonio Segni) e per due volte ministro dell’istruzione (durante i governi di Adone Zoli e il secondo di Amintore Fanfani): l’unico atto degno di nota, fu l’istituzione di “educazione civica” come materia scolastica.
Nel 1959, al settimo congresso nazionale della Dc, fu eletto segretario: fu da questa elezione che cominciarono i dissapori col suo partito.
Uomo giovane (aveva quarantatre anni) e di bell’aspetto, il neo segretario era considerato un uomo di facciata: un tentativo di “ringiovanire” il partito (da parte di alcune vecchie volpi che stavano nell’ombra) dopo l’esperienza del turbolento Fanfani.
In realtà Moro, fin da subito, dimostrò di non essere una “testa di legno”, auspicando una rinnovata vicinanza al Partito Socialista (la quasi immediata conseguenza furono alcune giunte di centro-sinistra, in alcune città importanti).
Questa mossa procurò l’ostilità di una parte conservatrice della Dc (il volubile Andreotti e il rigido Scelba), degli Stati Uniti (in fase distensiva ma perplessi sull’animo democratico del Psi, nonostante, l’ascesa di Kennedy, migliorò la situazione) e dell’Urss (che intravvedeva il pericolo di scindere il blocco social-comunista).
Alla caduta del governo di Ferdinando Tambroni (ultimo esempio di appoggio missino a un ministero democristiano), fu lo stesso Moro, il regista del terzo governo di Amintore Fanfani: il nuovo ministero fu un monocolore democristiano ma sostenuto con le astensioni da ogni partito di origine democratica (furono esclusi Pci e il Msi, parteciparono pure i Monarchici).
Fu il primo governo (dopo la storica esclusione, di De Gasperi) supportato da un’astensione socialista: Moro per la prima volta creò un neologismo, il governo delle “convergenze parallele”.
Infine al congresso di Napoli del 1962, lo statista pugliese ribaltò la situazione di tre anni prima, portando i Dorotei a riunirsi con Fanfani e quindi creando i presupposti di un appoggio socialista a Palazzo Chigi: il terzo governo di Fanfani.
In questo frangente, Aldo Moro sperimentò altre due sue caratteristiche: la prima la consistenza dei suoi lunghissimi discorsi (sei ore), articolati (nel tentativo, riuscito, di non scontentare nessuno) in modo tale da essere difficilmente comprensibili; la seconda, il suo tipico ruolo di “regia”, incaricando ad altri l’onere di presidente del consiglio.
Molte riforme furono attuate, altre promosse nella seconda legislatura: al contrario, la risposta elettorale, segnò un calo della Democrazia Cristiana e un incremento del moderato Partito Liberale Italiano, (avverso al centro-sinistra).
La Dc volle attuare una svolta moderata e fu di nuovo Moro a giostrare la situazione, facendosi affidare l’incarico per un suo primo governo.
La tattica del leader democristiano fu duplice: da una parte alzò ancora di più l’asticella, immettendo il Psi direttamente nel governo (fu detto, infatti, centro sinistra organico); dall’altra annacquò il programma (al punto che, la prima volta, non fu accettato dal Partito Socialista), con l’implicita promessa di non promuovere neppure le minime riforme annunciate.
Il presidente del consiglio, a parole, continuò a promettere riforme, arrivando a scontentare non solo il Psi ma la Dc che lo appoggiava (in particolare Emilio Colombo, che con una lettera, impose di bloccare le riforme) che cominciò a prendere le distanze da Moro.
Nonostante furono create ad hoc, delle crisi per motivi fittizi, Moro riuscì a risalire in sella per ben tre governi consecutivi (un record, fino allora, compito solo da De Gasperi): il terzo governo, con 833 giorni, battè i record di longevità dei ministeri repubblicani.
Probabilmente fu l’abilità del presidente, nell’armonizzare le diverse parti, che gli diede il potere così a lungo: alcune riforme attuate (in vicinanza della campagna elettorale) e un sospetto accentramento di potere da parte del presidente del consiglio (mal sopportato nell’intera storia democristiana), portarono a un netto e definitivo distaccamento della Democrazia Cristiana, dal suo uomo di punta.
Aldo Moro, che aveva già lasciato la segreteria del partito (per ovvi motivi legati al doppio incarico), dovette lasciare anche Palazzo Chigi e cominciò un progressivo distacco dai suoi vecchi alleati.
Incuriosito dai movimenti giovanili del ’68 (cui politicamente voleva strizzare l’occhiolino) e dall’uomo nuovo del Pci, Enrico Berlinguer (non ancora segretario ma eletto vice del malato Luigi Longo), il politico democristiano cominciò a intraprendere una strada solitaria, di lento avvicinamento al Partito Comunista Italiano, fondando una piccola ma importante corrente: “I Morotei” o altrimenti detti gli “amici di Moro”.
Aldo Moro quindi allargò l’aerea dei suoi avversari: gli Stati Uniti (ove il presidente, Richard Nixon, era sicuramente più anti comunista e quindi deciso avversario del leader democristiano), l’Unione Sovietica (che vedeva il pericolo di coinvolgere, addirittura, Il Pci nell’area di governo democristiana) e grandissima parte della stessa Dc (eccettuando le aree di sinistra che si aggregarono a Moro).
Dal 1969 al 1974, fu ininterrottamente ministro degli esteri: questa posizione lo mise in diretto contatto con le grandi potenze internazionali (come si è detto, sue nemiche), che velatamente cominciarono a minacciarlo riguardo a una futura alleanza col Pci (soprattutto il potentissimo Henry Kissinger).
Moro fu isolato ma caparbio, nella ricerca di un dialogo con i comunisti, ribattezzando le sue mosse come “strategia dell’attenzione” (contrapposta alla supposta “strategia della tensione”): osservò i movimenti della Dc (il deterioramento del centro-sinistra e il tentativo andreottiano di allearsi con la destra) e quelli del Pci (la reazione di Berlinguer davanti agli episodi cileni del 1973 e la clamorosa vittoria del referendum sul divorzio).
Infine nel 1974, ottenne di ritornare al governo: formò l’unica alleanza possibile col Partito Repubblicano Italiano (che contemporaneamente era l’unico movimento che auspicava una vicinanza al Pci).
Le elezioni amministrative videro un clamoroso successo di Berlinguer e, a quel punto (dopo un breve governo monocolore) Moro realizzò il suo sogno e la Democrazia Cristiana fu di nuovo costretta ad accettarlo come “leader” vincente.
Si riprese la segreteria grazie ad un suo uomo, Benigno Zaccagnini, accentrando su di lui gran parte della Democrazia Cristiana (eccetto Andreotti e una parte di Dorotei): in seguito alle elezioni, auspicò che proprio Giulio Andreotti (da una parte per rassicurare gli Stati Uniti, dall’altra per non entrare lui stesso in campo) formasse prima un governo con l’astensione del Pci e poi, un altro, con i comunisti in appoggio esterno.
Il 16 marzo 1978, giorno del giuramento del governo Andreotti, Moro fu rapito e, quasi un mese dopo, brutalmente assassinato.
Riepilogando.
Gli Stati Uniti consideravano Aldo Moro un personaggio pericoloso perché riusciva a conciliarsi (e s’intestardiva nel farlo) a partiti politici, secondo loro, “indesiderati”.
L’Urss era contraria ad Aldo Moro perché snaturava il sistema dei blocchi, tentando di ammorbidire il Psi e poi il Pci.
La Democrazia Cristiana considerava Aldo Moro un personaggio troppo “potente” e avendo, nella sua storia, sempre “eliminato” i personaggi “forti” (De Gasperi, Fanfani, De Mita), tentava di far lo stesso con Moro, seppur in modo “democratico”.
Aldo Moro fu ucciso dalle Brigate Rosse ma per tanti altri, la sua presenza fu scomoda.
Rey Brembilla
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