“Adesso stava alla finestra e tornava con il pensiero a quell’istante. Che altro poteva essere se non l’amore, che era venuto in quel modo da lui a farsi conoscere? Ma era davvero l’amore? […] Non si trattava piuttosto dell’isteria di un uomo che, scoprendo nel profondo della sua anima la propria incapacità di amare, aveva cominciato a fingere l’amore con se stesso? […] E gli dispiaceva che in una situazione simile, quando un vero uomo avrebbe saputo immediatamente come agire, lui esitava privando in tal modo l’istante più bello della sua vita del suo significato”. (tratto da “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, Milan Kundera)
Questa società ci vuole forti, determinati e sentimentalmente convinti. Purtroppo tra l’immagine che tutti vorremmo avere e dare di noi e il riflesso nello specchio della nostra intimità si notano diverse discordanze – se proprio non vogliamo parlare di totale assenza di punti in comune.
La sfera che preoccupa di più è quella sentimentale. Avere una vita soddisfacente, ma essere single è fonte di isteria per molte persone. Al contrario, l’essere appagati sentimentalmente fa sì che anche l’ostacolo più difficile possa essere superato. È la nostra generazione che ha sviluppato questa estrema necessità dell’altro oppure è dalla comparsa dell’uomo che si ricerca la famosa “metà della mela”?
Si notano, però, strani cambi di tendenza. Non abbiamo più fiducia nelle nostre sensazioni perché siamo inconsciamente portati a pensare in modo malvagio dell’azioni altrui. Viviamo di fobie. La paura della bugia, di essere raggirati o illusi, di aver bisogno semplicemente di qualcuno e non di quella persona in particolare. Vorremmo davvero provare ad affidarci all’altro, ma rimaniamo sempre troppo distanti dall’idea di un rapporto. Mascheriamo le insicurezze con la bandiera della libertà. Sì, perché è questo che ci raccontiamo. Non vogliamo perdere le nostre abitudini da single. Come se avere un rapporto sentimentalmente stabile possa essere limitante. Tendiamo a sentirci soffocati dalla presenza, oppressi dall’attenzione in più che quella persona possa rivolgerci. Arriviamo anche al punto di esserne visibilmente infastiditi.
Tra l’uomo e la donna non c’è distinzione. I sintomi sono gli stessi: ansia, fastidio, somatizzazione dell’oppressione (il mal di testa o il mal di stomaco sono le reazioni più comuni), agitazione e anche tachicardia. Nessuna malattia fisica, si tratta della Philofobia. È il termine tecnico per indicare la paura di innamorarsi o di essere innamorati. È un processo evolutivo limitante che si sviluppa da un trauma. Sfociando poi in un meccanismo di difesa che non permette alla persona affetta di avvicinarsi e compenetrarsi all’altro.
I traumi possono derivare da una “banale” delusione sentimentale passata per la quale si è sofferto oppure da un rapporto sbagliato con i genitori nel corso dell’infanzia. Quest’ultimi soggetti sviluppano particolari difficoltà nel mostrare le proprie debolezze e le proprie emozioni. Cercano relazioni impossibili, magari con persone già impegnate oppure di cui si sentono inferiori (motivo per il quale verranno poi lasciati). In un particolare stadio della fobia – quello più avanzato – c’è la consapevolezza (di per sé già invalidante) della limitazione. Si prova ad andare oltre, a provarci. Il potenziale fallimento potrebbe derivare anche dall’incapacità di esprimere le proprie difficoltà. Bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto all’altro affinché l’approccio possa essere graduale e consolidante ad ogni step. L’altro, dal canto suo, può far fronte alla situazione negando di essere innamorato. Paradossalmente è l’unico modo per evitare che il philofobico possa fuggire. Che tu sia il philofobico oppure la persona che tenta di stargli accanto, bisogna optare per il dialogo. Parlare della difficoltà, aiutarsi a comprendere le emozioni. Si tratta delll’unico approccio per curare questa fobia, oltre a consultare uno specialista (nei casi estremi).
Roberta Santoro
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