Ci si stende proni, le braccia ben serrate lungo i fianchi, a faccia in giù e dritti come una tavola; poi, complice un amico, ci si fa fotografare, e si condivide la foto su uno dei tanti social network. L’importante è che la “location” sia quantomeno bizzarra, meglio ancora se pericolosa, addirittura estrema. Si chiama planking, e in pochissimo tempo è diventato un must della cultura globalizzata: un modo di “giocare” e mettersi in mostra, mettendo alla prova la propria creatività e (soprattutto) sfruttando l’impareggiabile vetrina offerta dall’ “internautizzazione” mondiale.
Una mania – fad, come si dice in inglese – che, partendo dall’Australia, ha coinvolto una fetta sempre più grossa della popolazione mondiale in un brevissimo lasso di tempo. Dall’inglese plank, che significa appunto “asse”, “tavola”, gli amatori del gioco si sfidano a trovare il luogo più assurdo in cui stendersi, rigidi e a pancia in giù, per poi farsi fotografare, mostrando al mondo la propria impresa. E, quanto a originalità, i plankers ne hanno da vendere: tra le location più improbabili si trovano la piazza antistante il Taj Mahal, i gradini di scale pieghevoli, i tetti o i cofani delle automobili (meglio se della polizia), le ringhiere e svariati passi carrabili. Conosciuto anche come “lying down game” o “face down”, l’idea nasce circa un paio d’anni fa (2009), dall’intuizione – geniale o ottusa? – di Gary Clarkson e Christian Langdon, si diffonde, durante l’estate, dal North East Britain a tutto il Regno Unito, fino ad approdare poi dall’altra parte del mondo, in Australia e Nuova Zelanda, dove il gioco viene appunto ribattezzato planking, e diventa una vera e propria moda, diffondendosi grazie all’iniziativa di alcuni componenti dello staff medico del Great Western Hospital, Swindon, Inghilterra, che furono sospesi per aver “giocato” mentre erano in servizio.
Già conosciuto in Corea del Sud come “playing dead” e in Francia, dove viene chiamato “à plat ventre”, il planking affonda le radici nel più antico passatempo, diffuso sia in Europa che in Asia, proprio del lying down game; solo negli ultimi anni si connota di quel carattere “estremo” che contribuisce a renderlo, in quanto pericoloso, ancor più affascinante, per poi declinarsi in una serie di varianti, come il knock’n plank, parente del ben più antico knock’n run (il classico “bussa e scappa”) che consiste nello stendersi – piuttosto che fuggire – davanti a passi carrabili o ingressi di vario genere subito dopo aver bussato.
A essere contagiati dalla planking-mania non sono solo adolescenti o persone comuni: tra gli appassionati si contano anche nomi illustri, come quello del pilota di racing neozelandese di IndyCar Series, Scott Dixon, che ha “posato” da planker per i suoi fans sui pneumatici della sua auto da corsa, sfidando il collega Tony Kanaan ad imitarlo insieme al suo staff. Addirittura il primo ministro neozelandese, John Key, si è fatto ritrarre disteso in posizione da plank in una lounge suite, pubblicando poi la foto su Facebook: alle polemiche, il capo del Governo neozelandese ha risposto prima negando, e dichiarando che si trattava di un falso; in seguito, ha confessato ai media la propria passione per il planking, giustificandosi con un “non c’è niente di male”, purché vengano rispettate alcune norme di sicurezza per la persona. Sicurezza che però non sembra preoccupare i “giocatori” incalliti: lo scorso 25 maggio uno studente neozelandese è stato sorpreso a posare disteso sui binari ferroviari, sullo sfondo un treno in arrivo, fortunatamente senza riportare danni; lo stesso purtroppo non si può dire per Acton Beale, ventenne di Brisbane, Australia, che ha trovato la morte perdendo l’equilibrio e cadendo nel vuoto, mentre tentava di stendersi, ubriaco, sulla ringhiera di un balcone al settimo piano. L’appellativo coreano di “playing dead” sembrava già all’epoca (2003) profetico. Se Acton Beale è la prima, accidentale vittima di quella che in Australia si sta diffondendo come una pericolosa, insensata mania, c’è solo da sperare che non ne seguano altre. Perché dalla ringhiera del settimo piano alla bara, l’immobilità stile tavola è la stessa, e il passo è breve.
Giuliana Gugliotti
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