Interessante articolo di psicologia sulla ripresa del rapporto teoria e tecnica con le opportune definizioni, scritto da Luciano Rispoli.
I rapporti tra teoria e tecnica
Se noi guardiamo alla storia della psicologia clinica, a come si sono man mano sviluppati i differenti approcci al suo interno, e alle profonde trasformazioni che si sono avute nel corso del tempo in ciascuno di essi, ci possiamo accorgere di quanto sia stata e sia tuttora in movimento questa disciplina.
Ma anche i modelli meno affermati e meno forti istituzionalmente hanno mostrato una certa tendenza a mantenere i vecchi riferimenti teorici di partenza, nonostante nella pratica terapeutica le cose cambiassero profondamente. Troppo spesso questo collegamento tra pratica, tecnica e teoria non è stato sufficientemente messo in chiaro, così come non sono state chiarite realmente tutte le implicazioni che i cambiamenti comportavano da un versante sull’altro, specie da quello della tecnica sulla teoria.
Per poter procedere senza che si arresti il processo di riflessione sui rapporti tra teoria e pratica occorre dunque riprendere una definizione dei termini in questione.
Per teoria si intende “la formulazione e la sistemazione di principi generali di una scienza o di una sua parte”. Per quanto riguarda la psicologia si può affermare che essa è “la scienza che ha come oggetto di studio l’essere umano, i suoi processi psicofisici, le sue relazioni”, attraverso determinate concezioni. La psicologia clinica si evolve e si distingue dalla psicologia generale per l’uso del metodo clinico, basato su uno studio dettagliato e profondo del singolo caso e della sua storia, dell’osservazione diretta, e soprattutto della relazione come strumento fondamentale. Il metodo clinico ha obiettivi pratici e si caratterizza per il contatto diretto e personale del ricercatore-terapeuta con la persona studiata ed il suo ambiente. La psicologia clinica dunque non delimita campi (ospedale, fabbrica, clinica, ecc.) ma metodi di lavoro.
La tecnica è l’insieme di procedimenti e norme che regolano il concreto svolgimento di un’attività. All’interno della psicologia clinica, tutti i processi che vi sono inclusi, a partire dai principi generali teorici e dal metodo clinico impiegato, costituiscono la tecnica, cioè l’esercizio concreto di un’attività. Nella psicoterapia, ad esempio, l’interpretazione pulsionale o del transfert, l’uso dei ricordi, le fantasie guidate, il contatto, le prescrizioni, sono altrettanti aspetti della tecnica. Tutte queste indicazioni trovano, a seconda dei vari approcci teorici, una loro collocazione nel dispositivo terapeutico complessivo, nel setting e nel set della terapia, nel contratto specifico (tempi, spazi, modalità).
La tecnica comporta sempre la necessità di una riflessione scientifica sul proprio dispiegarsi, sia per il grado di raffinatezza che man mano va aumentando, sia per il livello di problematicità che si raggiunge lavorando.
Si suole indicare nella nozione di teoria della tecnica questo continuo rapporto scambievole tra riflessione teorica e l’operare con una tecnica precisa. La pratica psicoterapeutica e l’abilità ad essa connessa debbono integrarsi con la teoria che le sostiene, e questa integrazione non si realizza se non attraverso una vera e propria ricerca su ciò che si fa, sul come lo si fa, mentre lo si sta facendo. In altre parole, diremo con Bleger, lo psicologo “non solo deve avere un campo di lavoro, ma deve anche svolgere un lavoro di campo”.
A proposito di questo scambio continuo tra teoria e tecnica, possiamo oggi con tutta certezza affermare che alcuni autori, nel processo di revisione continua della loro pratica terapeutica, hanno finito per introdurre tante e tali modificazioni che paradossalmente potrebbero essere considerati più vicini ad altri indirizzi clinici piuttosto che all’area teorica di cui ritengono ancora di far parte. L’uso di tecniche fuori da una concettualizzazione teorica diventa in tal modo un abuso per aggiornare, solo nella veste più formale, teorie che non si evolvono nell’interazione delle nuove scoperte delle scienze.
Sebbene a volte le trasformazioni introdotte nella pratica inducessero a riflessioni profonde le quali iniziavano a coinvolgere anche i principi teorici più generali, troppo spesso le revisioni teoriche avviate venivano poi interrotte quando ci si avvicinava ad alcuni nodi centrali che non si volevano mettere in discussione, a determinare questioni che apparivano “scottanti” e quasi “intoccabili”.
Quello che non viene sufficientemente messo in chiaro, in questi casi, è che i cambiamenti introdotti nelle pratiche e nelle tecniche (spesso anche non ufficialmente) non possono restare senza un’adeguata elaborazione all’interno della teoria della tecnica (dal momento che non sono elementi isolati dall’intero contesto del modello), né essere considerati solo come punti marginali di un insieme che finirebbe così per apparire parziale, frammentario e ingiustificatamente immutabile.
Bisogna invece rendersi conto che in realtà si stanno apportando altrettante modificazioni alle stesse ipotesi di base del modello teorico, cioè a ipotesi che, attraverso un dato modello scientifico, tentano di dare un’interpretazione del funzionamento della mente umana, delle relazioni interpersonali, dei processi gruppali, del rapporto mente-corpo:
insomma dell’intera teoria di personalità. In tempi recenti alcuni autori hanno cominciato ad affrontare questo tipo di problemi, cercando di far chiarezza sugli attuali sviluppi sia della tecnica che della teoria, sui loro intrecci, sulle innovazioni attivate all’interno della psicoterapia.
Una prima considerazione di fondo che sembra emergere da tali studi riguarda la consapevolezza di poter usare positivamente il bagaglio tecnico e teorico di tutte le aree della psicoterapia, di tutti i più consistenti indirizzi clinici, poiché ciascuno di essi ha portato a contributi significativi nell’ambito di quel particolare aspetto della psicologia clinica di cui si è a lungo occupato.
LE “AREE TEORICHE”
Una riflessione approfondita sulla nascita e l’evoluzione dei grandi modelli della psicoterapia ci può fare scoprire come in fondo essi si siano sviluppati l’uno dall’altro, a volte in stretta connessione, a volte in un percorso irto di fratture e discontinuità., Nessuno di essi può essere considerato come un impianto teorico totalmente separato dagli altri, né completamente esaustivo della materia. Possiamo piuttosto dire che ogni modello ha illuminato aspetti differenti della struttura della personalità e della relazione terapeutica, mettendo prevalentemente a fuoco parti dell’intero campo di indagine.
E’ dunque un grave errore concettuale (nel quale non bisogna più ricadere) la pretesa che ciascuna teoria ha avanzato di fare di ogni scoperta o innovazione un “sistema globale” con cui spiegare la totalità: pretesa sulla quale le varie scuole hanno appoggiato le proprie rigidità dogmatiche, senza tenere in conto la frammentazione dell’oggetto di ricerca.
I singoli modelli si sono poi spesso “persi” in una necessità, miope seppur comprensibile, di difendere se stessi, sovente in contrapposizione con gli altri, alla ricerca di un sostegno forte di identità solo al proprio interno. Ma in tal senso arrestando il fisiologico sviluppo della psicologia come scienza. Ed è stato così che si sono commessi alcuni fondamentali errori.
1. Il primo è stato quello di non sottoporre a costante verifica le proprie formulazioni teoriche;
2. Il secondo errore è consistito nel fatto che ciascun modello, assolutizzandosi, ha finito per credere di ricoprire tutto il campo esistente d’indagine, e non più solo quella parte di esso (il simbolico, le relazioni familiari, le strutture cognitive,.) che aveva studiato e contribuito a illuminare.
3. Il terzo errore, infine, è stato quello di accogliere cambiamenti nella prassi terapeutica (dettati da pressioni culturali e sociali, da esigenze o ansie di efficienza) senza coniugarli con il modello teorico di base, in un necessario intergioco tra teoria e prassi.
L’EVOLUZIONE DELLE TEORIE VERSO UNA RECIPROCA INTERAZIONE
Sarebbe auspicabile in un prossimo futuro che si possa avviare un processo di sistemazione dell’intero campo della psicoterapia e di creazione di un corpus teorico comune, articolato e dinamico, capace di affrontare con un’ottica multifocale la sfida alla complessità. Ma ciò è possibile a patto che si accetti di rivisitare apertamente formulazioni superate e di affrontare con chiarezza nuovi nodi concettuali.
LO STATO DELLA RICERCA E LE PROSPETTIVE FUTURE
LA SFIDA DELLE NEUROSCIENZE
Oggi stiamo assistendo al fenomeno del ritorno dirompente, nel campo della salute psichica, delle neuroscienze, con la loro impostazione biologistica e organicista e con le loro promesse miracolistiche di “sanità’ attraverso interventi diretti sul cervello e sui numerosi neurotrasmettitori che l’organismo impiega nella propria complessa regolazione.
Ma troppo spesso – come sostiene Rose, neuropsichiatra controcorrente della Open University di Londra – tali atteggiamenti e tali impostazioni sconfinano in un pericoloso riduzionismo, nel momento in cui si attribuisce al determinismo genetico la causa unica del funzionamento umano, e alla biochimica o alla neurochirurgia l’unica modalità di intervento. Giustamente Rose ricorda che recenti ricerche su soggetti depressi hanno dimostrato che un riaumento della serotonina (deficitaria in questa tipo di malattia) lo si può riscontrare anche dopo un trattamento di psicoterapia, senza alcun uso di immissioni esterne (farmacologiche) di detta sostanza.
Paolo Crepet, da parte sua, sostiene che il trionfalismo della biochimica è ingiustificato, perché non più di un terzo dei pazienti depressi ottiene risultati positivi con gli psicofarmaci.
Bisogna andare oltre e riconoscere che un terreno cosiddetto biologico è in totale e stretta interrelazione con il terreno cosiddetto psicologico, e che nessuno dei due è in realtà subordinato all’altro. Si tratta di vedere, in altri termini, se la psicologia clinica è disposta ad affrontare anche ricerche come quelle citate da Rose, cioè ad interagire profondamente, nella ristrutturazione del proprio impianto scientifico, con le altre discipline pur conservando ovviamente la propria specificità e la propria ottica.
Probabilmente non si può più, oggi, non guardare al funzionamento complessivo dell’individuo (compresi i suoi processi biochimici) e cercare di comprendere come la psicologia clinica e la psicoterapia (viste nelle complessità dei vari approcci) possa interagire con tale funzionamento, e in qualche misura incidere significativamente su salute e benessere.
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