Il romanzo, considerato il capolavoro di Svevo, il primo “romanzo d’analisi” italiano, rappresentativo di tutta la sua opera, è introdotto e chiuso tra due “documenti”: la lettera dello psicanalista “dottor S.” (che costituisce la prefazione) e l’ultimo manoscritto del protagonista, Zeno Contini.
L’elemento paratestuale della prefazione guida il lettore verso l’interpretazione dell’opera e la caratterizza, insieme alla struttura aperta (di memoriale), alla dissoluzione della trama (la frantumazione della storia in ricordi più salienti) e all’impostazione in episodi autonomi, dal passato più remoto dell’infanzia a quello più recente della senilità, che danno corpo al monologo interiore del protagonista.
Nella sua lettera, il dottor S., spiega di aver deciso di pubblicare a scopo vendicativo le confessioni scritte di Zeno, perchè indignato dalla sua mancanza di volontà di “curarsi”, avvisando il lettore di non credere al racconto del nevrotico paziente . Così, già nella prefazione, dove anche la figura rispettabile del medico perde di credibilità, comportandosi in maniera molto poco professionale, quasi puerile, si preannuncia la relatività delle verità del racconto, che è anche la relatività dell’essere “sani” o “malati”. Zeno è un borghese benestante, ormai anziano, che si sente “malato” o “inetto”, condannato ad essere nullità già nel destino del suo nome (Zeno=zero, Cosini=piccola cosa), continuamente in cerca di una guarigione dal suo indefinibile malessere, assimilabile all’ipocondria, attraverso tentativi goffi e controproducenti.
Il “dottor S.”, personaggio ispirato a Sigmund Freud o più verosimilmente a Edoardo Weiss, l’analista triestino di Svevo, rappresenta nel bene e nel male, la neo-nata scienza della psicanalisi e in particolare la branca della “psicosomatica”, alla ricerca di connessioni tra i disturbi somatici e i fattori psicologici scatenanti. Il dottor S. consiglia a Zeno di affrontare la sua “malattia”, di presunta origine psicologica, con una terapia basata sulla trascrizione dei suoi ricordi in forma autobiografica: ne deriva un “racconto di sè” in prima persona, composto da alcune “tappe” della vita di Zeno, evocate con stile ironico, condizionato dal controverso rapporto tra psicanalista e paziente, caratterizzato da bugie e pseudoverità. Nell’ultimo capitolo, l’ottavo, intitolato appunto “Psicanalisi”, Zeno interrompe la “cura”, confessando che è fallita: non è stata la sua avventura psichica “nel bosco” del suo inconscio, ma addirittura il commercio di armi intrapreso durante la prima guerra mondiale, a fargli comprendere che il suo stato di “malato” non è un vero handicap, ma una predisposizione a comprendere la vera essenza delle cose, predisposizione che manca ai “sani” che non mettendosi in discussione, restano cristallizzati nelle loro idee. In conclusione Zeno si dice guarito nel fisico (come confermato anche dalle analisi di laboratorio del dottor Paoli, medico tradizionale, antitesi del dottor S.) e nella psiche, perchè finalmente ha preso coscienza delle sue imperfezioni e dei suoi limiti. Zeno afferma che “la vita attuale è inquinata alle radici” e il non avvedersene condanna l’umanità all’autodistruzione, evocando l’immagine di un uomo “sano”, intento a far saltare il pianeta con un nuovo e potente esplosivo, riducendolo a una nebulosa errante “…priva di parassiti e malattie”.
PATRIZIA DIOMAIUTO
Riproduzione Riservata ®