Federico Rampini, giornalista dal 1977, attualmente corrispondente de la Repubblica in Asia e negli Stati Uniti, nella scorsa puntata di “Che tempo che fa” ha parlato del suo ultimo libro “Alla mia sinistra” edito da Mondadori, e ha tracciato un quadro sulla crisi attuale mondiale.
“Avevo il dovere di scrivere questo libro. Perché ho due figli ventenni che affrontano, come tutti i loro coetanei, il mercato del lavoro più difficile dai tempi della Grande Depressione. Perché devo rispondere delle mie responsabilità: appartengo a una certa generazione della sinistra occidentale che ha creduto di poter migliorare la società usando il mercato e la globalizzazione. Ho voluto sfogliare il mio album di famiglia, la storia che ho vissuto con un pezzo della sinistra italiana, per capire le ragioni delle nostre sconfitte, quindi aprire una pagina nuova. Plutocrazia, tecnocrazia, populismo, autoritarismo sono i mali che minacciano le nostre democrazie. L’Italia è un piccolo laboratorio mostruoso di queste patologie. Avendo vissuto un’esperienza pluridecennale da nomade della globalizzazione – in Europa, in America, in Asia – ho il dovere di dire ciò che è accaduto all’immagine del nostro paese nel mondo. Devo raccontare dal mio osservatorio attuale nell’Estremo Occidente” quali sono i costi dell’era Berlusconi, e anche le radici profonde del berlusconismo, che gli sopravvivranno, i vizi di un’Italia “volgare e gaudente” con cui dovremo fare i conti anche dopo. Che cosa farà questa Italia “da grande”? C’è ancora speranza? Alla sinistra indico le possibili vie d’uscita attingendo alle mie esperienze nelle nazioni emergenti, dall’Asia al Brasile: perché non possiamo farci risucchiare in una sindrome del declino tutta interna all’Occidente.”
Federico Rampini ha provato a ricostruire le cause della crisi: il crack delle banche e il declino dell’Occidente il sogno infranto del liberismo progressista. Vorrebbe spingere la sua sinistra a non pensare solo al debito, e a guardare anche al comportamento di altri paesi per intraprendere percorsi diversi di risanamento e fa l’esempio del Brasile, la più grande socialdemocrazia del mondo ma anche paesi più progrediti in cui sono forti i diritti dei lavoratori e i sindacati come quelli scandinavi. I tagli al Welfare secondo il giornalista sono inutili.
“Esploro quello che si agita di nuovo nell’America di oggi, da New York alla California. Cerco di riscoprire quel che resta di un modello europeo valido per noi. Una cosa che mi è sempre piaciuta della sinistra è la sua idea ottimista della Storia. La Storia siamo noi, nel senso che possiamo influire sul corso degli eventi. Riusciremo a farlo solo se troviamo una narrazione comune che tenga insieme i bisogni e le aspirazioni non di una sola categoria, non di una sola nazione, ma dell’umanità intera.”
Il dato che mi sembra interessante è che il talk condotto da Fabio Fazio su Rai tre quella sera ha ottenuto il miglior risultato di ascolti dall’inizio della stagione, catturando l’interesse di 4.769.000 spettatori, 17,35% di share, 34% di share del pubblico laureato, sbaragliando l’access prime-time.
Giusy De Angelis
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