Giorgio Napolitano è forse il più grande e primo protagonista della cronaca politica italiana degli ultimi anni: a dispetto di un’età non più verde è da considerarsi un autentico “ deus ex machina”.
La nascita degli ultimi due governi, la conseguente linea economica (magari anche discutibile ma coerente) e addirittura il programma del governo Letta, è frutto della sua volontà e non certo di un atto responsabile dei politici, che sono stati costretti a seguire il suo volere.
Alcuni lamentano un “commissariamento“ della politica, una sospensione della democrazia o addirittura un antipasto del presidenzialismo: in realtà l’atteggiamento del Presidente è ampiamente previsto dalla costituzione e per fortuna che Napolitano è uomo saggio, poiché troppo spesso nel passato la poltrona quirinalizia è stata usata in modo ambiguo o improprio.
La casistica storica ha visto vari capi di stato districarsi in situazioni analoghe.
Antesignano di Napolitano fu Oscar Luigi Scalfaro che nel tentativo di frenare il deficit che gravava sull’Italia nel 1993, conferì l’incarico al Presidente della banca d’Italia, Azeglio Ciampi, di formare il primo governo tecnico della storia d’Italia.
Da uomo probo che fu, Sandro Pertini non volle rendersi complice di un ulteriore governo democristiano (la Dc era allora minata dallo scandalo della P2) e nominò Giovanni Spadolini a Palazzo Chigi, primo premier non democristiano della storia della Repubblica, simbolo di onestà politica e intellettuale.
Al di là di questi casi positivi, spesso il potere presidenziale è stato usato in modo improprio.
Talvolta alcuni capi di stato hanno preso le redini in mano non per un motivo economico e morale, ma semplicemente per idee politiche o ambizioni personali.
Nel 1995, lo stesso Oscar Luigi Scalfaro vide implodere il breve governo di Berlusconi e volendo legittimamente salvare la legislatura, incaricò Lamberto Dini di formare un governo: il ministero fu squisitamente tecnico ed il Presidente del Consiglio fu scelto perché vicino a Berlusconi, che di conseguenza si astenne.
Ben presto il ministero ebbe un taglio sicuramente politico, figlio della maggioranza che lo sosteneva, definita del “ribaltone” perché al di là dell’iniziale astensione di Forza Italia, era composta dall’intera opposizione al governo precedente, votato dagli italiani (addirittura la stessa Lega Nord era in imbarazzante alleanza col centro-sinistra).
Scalfaro assistette a tutto soddisfatto e tranquillo, in piena contraddizione con la figura di garante e padre della costituzione. L’esplicita avversione verso Berlusconi, lo rese imparziale.
Il caso forse più celebre di “abuso di potere” fu durante la breve presidenza d’Antonio Segni, precisamente nel 1964.
La storiografia di sinistra trasformò decisamente quest’episodio (che di là di tutto fu gestito in modo ambiguo), dimenticando o giustificando il caso sopraccitato di Scalfaro.
Terminato il primo governo di centro-sinistra organico d’Aldo Moro (ove al governo contemporaneamente c’erano il Psi e la Dc ), si tentò di crearne un secondo, ove il Psi richiedeva a gran forza un programma più progressista.
Antonio Segni, gentiluomo al di sopra d’ogni sospetto, era probabilmente già minato dal devastante ictus cerebrale ( che lo colpì neanche un mese dopo) e per di più scosso dal fresco assassinio di John Kennedy.
A causa di una linea politica moderata, Segni aveva una vera ossessione verso il progressismo più avanzato, al punto che di testa sua, voleva creare un governo di centro-destra con a capo il più rassicurante Merzagora.
Accanto a lui in quei giorni vi era il Generale De Lorenzo, capo del Sifar (i servizi segreti di allora) che al contrario stimolato da uno spirito ambizioso, aveva già accerchiato la capitale dall’arma dei carabinieri, segnalando una lista di politici sospetti da allontanare perché “ eversivi”.
La Dc e il Psi velocemente trovarono un accordo e il governo si formò.
Lo scandalo dell’epoca parlò addirittura di colpo di stato del Presidente della Repubblica (Antonio Segni non poteva certo essere sospettato di avere un animo da dittatore) ma in realtà anche gli stessi politici di allora sconfessarono quest’ipotesi.
In ogni caso la bussola politica era nelle tremule mani d’uomo malato e facilmente impressionabile.
Un altro caso eclatante di “abuso di potere” risale addirittura alle elezioni presidenziali del 1955.
Il democristiano Giovanni Gronchi dimostrò subito la pasta di cui era fatto: andando contro alle scelte del partito che voleva un altro candidato, creò autonome alleanze con i partiti di sinistra (a causa di un suo passato progressista) e si fece eleggere Presidente.
Nel 1960, mentre i partiti brancolavano nel buio, incaricò Ferdinando Tambroni (un politico vicino a lui) come presidente del consiglio di un governo d’affari (oggi si direbbe di “ scopo”) ossia di transitoria e ordinaria amministrazione.
In realtà Tambroni (conosciuto per l’ambigua passione di “schedare” ogni collega politico in un grande archivio personale) fu votato soprattutto dai partiti di destra ( Msi e Monarchici) e fin dal discorso iniziale cercò di impostare un governo più duraturo.
Prese iniziative coraggiose e ben diverse da un programma transitorio: decise di abbassare alcuni prezzi di beni di consumo e soprattutto promosse un congresso del Msi a Genova.
In realtà il congresso del Msi non significava nulla d’eversivo, poiché il partito era democraticamente eletto e voleva usare l’arma del congresso per sdoganarsi da un passato fascista.Tambroni probabilmente auspicava un Msi rinnovato come legittima base del suo governo.
I politici di allora videro però in modo scandaloso questa mossa e la sinistra n’approfittò per creare sommovimento popolare anti-fascista e scioperi in tutta Italia: Tambroni reagì brutalmente da capo di governo reale (e non transitorio), usando addirittura la forza contro i manifestanti.
La Dc e l’intero parlamento sconfessarono Tambroni e indirettamente Gronchi, sino a provocare la dimissioni del governo (Tambroni ne restò in sella fino all’ultimo) e addirittura promosse un governo a larga maggioranza moderata per evitare che il “pericoloso” Gronchi sciogliesse le camere a suo piacimento.
Giovanni Gronchi fu tutto sommato orgoglioso della sua “ creatura” politica, figlia di sue più grandi ambizioni.
Anche in questo caso la bussola del governo fu affidata ad una personalità equivoca, sicuramente non troppo affidabile.
Gli esempi citati tendono ancora di più a fari risaltare la figura di Giorgio Napolitano che a dispetto dei suoi 88 anni, ha ancora la mente lucida ed equilibrata per guadare orgogliosamente il “fiume Italia”, più che mai tempestoso e difficile ma retto da un gran timoniere.
Rey Brembilla
Riproduzione Riservata ®