Ogni politico è conscio che è la volontà popolare che conta, al punto di utilizzarne i consensi, quando vi è la necessità: curiosa è la posizione coloro che per antonomasia si definiscono “ conservatori”, ma che improvvisamente diventano “giacobini”.
Silvio Berlusconi ormai è un autentico politico: dopo l’esperienza istituzionale del governo Monti/Letta, tenta di recitare il ruolo del “progressista” ed avvia un dialogo con Beppe Grillo (il quale coerentemente risponde “ picche”).
Afferma di appoggiare la protesta dei “forconi” ( ..e pensare che un tempo sosteneva non ci fosse la crisi) e lancia ponti verso il comico genovese, parlando di riforme elettorali e costituzionali.
Silvio Berlusconi è un imprenditore, di cui il liberismo politico/economico è un manifesto: nonostante questo, ora abbozza una manovra d’estremo progressismo.
Benito Mussolini ebbe un passato marxista, ma sostanzialmente fu un dittatore dichiaratamente conservatore, nonostante numerose sue riforme furono di chiaro stampo socialista.
Eppure, iniziata l’esperienza della Repubblica di Salò (nel 1943), il Duce si volle dare una verniciata di sinistra: la costituzione allora promulgata, il “manifesto di Verona” fu tra le più avanzate dell’epoca e ricalcò addirittura, in parte, l’attuale statuto italiano.
Dal punto di vista istituzionale: la monarchia faceva posto alla repubblica e addirittura i cittadini (anche le donne) potevano votare la camera dei fasci e delle corporazioni.
Dal punto di vista sociale: il cittadino poteva esprimere liberamente le proprie idee, erano limitati di periodi di reclusione carceraria, s’istituivano i diritti dei lavoratori che potevano partecipare agli utili della propria impresa, si garantiva un salario minimo e si aboliva la gran proprietà terriera.
Lo sforzo strategico fu unito agli atti tipici del tardo regime fascista: le leggi razziali, il rinnovo dell’alleanza con la Germania di Hitler e la punizione dei “traditori” (il processo di Verona giustiziò chi avevano causato il crollo del regime).
Lo sterzamento progressista del Duce non bastò agli italiani: la Repubblica di Salò ebbe una breve vita e tale fu l’esistenza del dittatore.
Un Berlusconi progressista può essere credibile (data l’uniformità della politica italiana contemporanea) ed un Mussolini socialista è giustificato (avendo un passato di sinistra): ma è incredibile è la posizione d’Aldo Moro alla fine degli anni ‘60.
Aldo Moro fu il simbolo della conservazione e dell’immobilismo (il suo linguaggio, la strategia politica o addirittura l’espressione del viso) ma fu a causa del notorio acume politico che si decise a cambiare pagine nel 1968.
Osservando l’avanzare delle sommosse giovanili, qualcuno sorprese lo statista pugliese lamentarsi nel “ non aver dato la sensazione ai giovani del cambiamento”: non si accennava alla stesura di riforme, ma solamente a non averle velatamente evocate (tale era lo spirito d’Aldo Moro in politica); questa consapevolezza portò lo statista a staccarsi dalla corrente moderata dei “Dorotei” e a fondarne un’altra più legata all’estrema sinistra, i cosiddetti “ Morotei”.
Moro iniziò quindi una lentissima strategia d’avvicinamento verso il Partito Comunista Italiano (agevolato dalla figura “diversa” del neo-segretario Enrico Berlinguer), che lo portò ad un governo di collaborazione col Pci: indicative sono le date (dal 1968 sino al governo del 1977) per comprendere i tempi della politica morotea.
Purtroppo la strategia dello statista ha dato frutti effimeri e brevi, per di più terminandosi con l’efferato rapimento ed assassinio dello stesso Moro (le Brigate Rosse agirono per evitare un governo di Dc e Pci insieme).
In conclusione Silvio Berlusconi, Aldo Moro e Benito Mussolini tentano o tentarono di attuare la stessa manovra strategica, furba poiché orientata verso il favore popolare.
La scaramanzia invita Berlusconi a fermarsi in tempo, poiché il destino dei due precedenti politici (morti ammazzati) non è sicuramente di buon auspicio.
Antonio Gargiulo
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