Il “rimpasto” è ormai sulla bocca d’ogni politico o giornalista italiano, il governo d’Enrico Letta dovrebbe forse attuarlo nei prossimi mesi.
Cosa significa rimpasto, termine con apparenti richiami culinari per l’ingenuo popolo italiano? il significato è semplicemente un ricambio di alcuni ministri, tale da non prevedere una crisi di governo.
Il politico di turno lo giustifica attraverso necessarie variazioni programmatiche, ma in realtà è un volgare scambio di poltrone per politici assetati di potere: Benito Mussolini attuava un “rimpasto” ogni tre o quattro anni.
Un’ alternativa al rimpasto è la nascita di un secondo governo, presieduto dallo stesso premier, ma con una leggera modifica ministeriale: i casi più attuali sono riconducibili al penultimo governo di Silvio Berlusconi ( la cui riottosità di alcuni alleati costrinse il premier a “regalare” loro poltrone, magari “etichettando” i ministeri con i nomi altisonanti).
Seguendo questa strategia, alcuni politici hanno “esagerato” in passato, proponendo tre governi di fila (Moro, Andreotti e Rumor) otto (Alcide De Gasperi dal 1945 al 1953) o addirittura dieci (seppur attraverso alcune variazioni) presieduti da Agostino Depretis dal 1876 fino al 1887 (lo statista morì stoicamente in carica).
Il periodo della prima repubblica fu una fucina dei termini politici più strani.
A parte il conosciuto “governo tecnico” ( formato da tecnici e non politici che irrimediabilmente sono attratti da sirene politiche) esiste il “governo elettorale”.
Quando la legislatura si svolge al termine (magari a seguito d’elezioni anticipate) ed ogni alleanza è impossibile, s’implorano i partiti di creare un breve governo che porti alle elezioni immediate: in passato il ministero “nasceva morto”, ossia era già consapevole di essere battuto in parlamento, ma lo stesso eseguiva “l’ordinaria amministrazione”.
Tuttora vige il “governo d’affari” o “di transizione” che ha un duplice significato: da una parte è creato per seguire pochi e precisi punti di un programma, dall’altro serve per far rifiatare i grandi movimenti politici ed è destinato a fare da “apripista” verso un presunto governo stabile.
A sua volta un governo di “transizione” si suddivide in: “Governo amico” o “governo balneare”, termini adesso in disuso.
Il “governo amico” (ormai raro anche durante la “prima repubblica”) non ha in realtà nulla d’amichevole: è un ministero composto di politici, ma a cui gli statisti maggiori si disinteressano e non si assumono responsabilità, spesso rinnegandolo, quando compie atti non “regolari” ( l’ultimo governo d’Amintore Fanfani, nel 1987, subi addirittura l’astensione della stessa Democrazia Cristiana).
Il “governo balneare” era definito così perché nasceva a Giugno per terminare in autunno inoltrato, normalmente era costitutito da Giovanni Leone e serviva come pausa dei primi ministeri di centro-sinistra.
Talvolta i ministeri così definiti erano gestiti da personalità incolori.
Alcuni periodi storici turbolenti bisognavano di governi soporiferi, innocui: tali da dare tranquillità.
Casi significativi furono i lunghi governi del soporifero Mariano Rumor: presenti durante gli anni degli scioperi o del terrorismo, con l’intento di tranquillizzare la situazione, attraverso un andamento sonnolento.
Un altro tipo di governo con queste modalità, era il cosiddetto “ministero delle astensioni”.
Talvolta Giulio Andreotti e Aldo Moro ( maestro nel creare formule nuove) chiedevano a più partiti di astenersi (evitando di votare a favore o contro): Amintore Fanfani nel 1960 formò un governo in cui quasi tutti i partiti ( eccetto il Partito Comunista e il Movimento Sociale) si astennero e fu definito delle “ convergenze parallele”.
Infine nel periodo pre-fascista si mantenne l’idea di affidare ministeri a dei tranquilli vegliardi, che almeno trasmettevano “rassicurazione”.
Alcuni statisti importanti ( Agostino Depretis e Giovanni Giolitti) ebbero una tale influenza sul sovrano, che riuscirono a governare quasi ininterrottamente per molti anni (Depretis dal 1876 al 1887, mentre Giolitti dal 1903 al 1914): giacchè che avevano difficoltà nella maggioranza o semplicemente erano stanchi, accordavano un periodo di pausa.
Entrambi avevano dei politici fidati e sottoposti, che guidavano governi brevi di transizione: nel 1914 Giovanni Giolitti pensò di attuare la stessa tattica verso Antonio Salandra, ma il Re fece un “colpo di mano” e Salandra non mollò la “poltrona” sino all’inizio della prima guerra mondiale; Giovanni Giolitti non perdonò e volle a tutti costi tornare al governo nel periodo post bellico, a più d’ottant’anni suonati.
Rey Brembilla
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