Dietro un grande governo ci sono grandi donne, o almeno dovrebbero esserci. Forse è per questo che il nostro Paese vacilla in credibilità e concretezza (se non nelle tasse) negli ultimi anni? Magari è un discorso che non ci appartiene, ma è stato dimostrato che le donne in posizioni di “comando” hanno meno possibilità di veder fallita un’azienda o un governo.
L’unico piccolo neo – quello di sempre – è che scarseggia la presenza femminile nel ricoprire determinati ruoli. Discriminate anche nella definizione “quote rosa”, dato che viene utilizzata unicamente in Italia. Una soluzione al problema della mancanza delle donne è l’imposizione di quote di “genere”. Si impone, cioè, la presenza minima stabilita del genere femminile. Ad evidenziare grandi discordanze nel mondo è stato l’ultimo rapporto dell’Onu e dell’Unione interparlamentare, da poco resi noti. I parlamenti nazionali hanno visto una “invasione” del tocco femminile del 19,5 percento lo scorso anno. Sembra tanto, ma rispetto all’anno precedente le donne hanno guadagnato solo mezzo punto in realtà. Esistono, poi, quei Paesi che spiccatamente alzano la media di presenze. Ai primissimi posti troviamo Svezia, Norvegia e Finlandia – insieme a Cuba, Andorra, Belgio fino al Sudafrica con il 44,5 punti percentuali.
E l’Italia? Insieme alla Gran Bretagna e alla Francia, abbassa decisamente la media. Si posiziona 57ma con un misero 21,6 percento alla Camera e con tre punti percentuali in meno al Senato. In pratica siamo molto più vicini al “fondo” (con una soglia del 5 percento) in cui si trovano gli Emirati Arabi, la Nigeria e l’Iran – piuttosto che ai vertici che conferiscono dignità e responsabilità alla donna. Imponendo le quote di genere, nel 2011, le donne si sono viste riconoscere il 27,4 punti percentuali dei seggi nei 59 paesi che hanno voluto adottare questa soluzione. Coloro che non hanno voluto abbracciare questa politica hanno dimezzato le figure femminili elette. Le donne arabe e del Medio Oriente hanno provato ad imporre la propria voce. Ricordiamo le manifestazioni e le proteste. Nonostante ciò non sono riuscite ad ottenere molto.
In Italia siamo ancora lontani dalla “civilizzazione” delle parti. Siamo dovuti arrivare alla possibilità di esprimere la “doppia preferenza di genere” per assicurare le pari opportunità alle elezioni? L’unica nota positiva è stata l’introduzione delle quote rosa nei cda delle aziende. Una donna su cinque sarà assicurata da agosto di quest’anno, mentre – nel 2015, nel secondo mandato – una su tre. Per il momento siamo fermi ai 7 punti percentuali. Davvero lontani dall’idea che si cerca di portare avanti.
I rapporti non solo propensi a farci fare bella figura davanti al mondo. Secondo una classifica di Eurostat del 2009, l’Italia risulta essere un Paese maschilista e retrograda per quanto concerne l’aiuto femminile nel reddito di coppia. Dati allarmanti anche dall’ultimo rapporto della Fondazione Rodolfo De Benedetti: indipendentemente dai successi universitari, dal ceto sociale d’appartenenza e dalla tipologia di lavoro svolto – le donne in Italia guadagnano meno. Parliamo di una differenza di ben 16,5 punti percentuali.
Ma la speranza è l’ultima a morire. Ricordiamoci che al mondo esistono ben 18 Paesi che possono contare su una donna presidente.
Roberta Santoro
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