Potranno i parsimoniosi criteri della spending review avere la meglio sul campanilismo italico? Il decreto varato ieri dal Consiglio dei ministri in tema di «riordino» delle province italiane ha creato più di un mal di pancia. Naturalmente tra chi rischia la cancellazione amministrativa e geografica.
Se il Presidente dell’Upi (l’Unione delle province) Giuseppe Castiglione parla di «un processo di riforma istituzionale dal quale ci auguriamo esca una Italia più efficiente, con una amministrazione più moderna», il tono muta decisamente tra chi è a un passo dalla sparizione.
I Presidenti delle province a rischio hanno chiesto di «bloccare l’ulteriore tentativo da parte del governo di definire criteri di taglio lineare e puramente dimensionali delle nostre province» ed esortano l’Upi a denunciare immediatamente l’incostituzionalità dell’articolo 17 del decreto e «di sospendere ogni disponibilità a collaborare col governo sulla riorganizzazione e il riassetto delle Province». Ma cosa determina gli accorpamenti tra province? In base ai criteri rivisti e approvati ieri dall’esecutivo, i nuovi enti dovranno avere almeno 350 mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2500 chilometri quadrati. Saranno quindi 64 su 107 le province da accorpare, di cui 50 in regioni a statuto ordinario e 14 in regioni a statuto speciale.
Le province salve sarebbero dunque 43 su 107 di cui: 10 metropolitane, 26 in regioni a statuto ordinario e 7 in regioni a statuto speciale. Tuttavia va detto che in queste ultime varranno le prerogative previste dai rispettivi statuti. Anche se rispetto ai precedenti e più restrittivi criteri è stato fatto un passo avanti, in alcune regioni il taglio delle attuali province sarà drastico. Ad esempio in Toscana dove rispetto alle dieci attuali province, solo Firenze avrebbe i requisiti per restare e anche per trasformarsi in città metropolitana. Le restanti nove dovranno accorparsi in due nuove amministrazioni provinciali. È pensabile, per dire, che la storica rivalità Pisa-Livorno possa essere cancellata per decreto? Va un po’ meglio in Lombardia: su 12 province attuali, solo 4 (Milano, Brescia, Bergamo e Pavia) hanno i requisiti per rimanere in vita (Milano si trasformerà in città metropolitana).
Le nuove province avranno competenza in materia ambientale, di trasporto e viabilità. Mentre perderanno alcune funzioni (mercato del lavoro ed edilizia scolastica). Si è trasformato invece in un nulla di fatto l’accorpamento delle ferie «per motivi giuridici ed economici». Il consiglio dei Ministri ha infatti espresso parere contrario perché la questione avrebbe riguardato solo tre giorni l’anno: lunedì di pasquetta, il 26 dicembre e la festività dei Santi patroni e per scongiurare ricadute sul turismo.
Fonte: LA STAMPA.IT
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