Per diventare famosi ci vuole fortuna, oltre che bravura. E a volte basta una scelta d’istinto, fatta controtendenza, che si rivela poi assolutamente azzeccata, per diventare leggenda. Una scelta rischiosa, e un soprannome indovinato: ecco i segreti del successo di Richard Starkey, alias Ringo Starr, ex batterista dei Beatles ricordato come “l’uomo più fortunato degli anni ‘60”, la “stella” che brillò della luce riflessa degli altri tre Beatle. Nato nel modesto quartiere operaio di Dingle, Liverpool, Richie Starkey avrebbe avuto probabilmente davanti a sé un destino da manovale, se il corso della sua vita non avesse subito un brusco e fortunoso cambio di rotta in seguito all’incontro con gli allora ignoti Beatles: bambino dalla salute cagionevole, Richie trascorse buona parte della sua infanzia tra un ospedale e l’altro, affetto prima da un’appendicite che, degenerata in peritonite, lo mandò in coma per diverse settimane, poi da una pleurite che solo a quindici anni, curata, lo restituì alla vita ormai adolescente e quasi analfabeta, troppo giovane e inesperto per cercare un lavoro redditizio, troppo vecchio per tornare sui banchi di scuola.
Con un po’ di fortuna avrebbe potuto trovare un mestiere non specializzato: fece domanda per entrare nella British Railroad, ma la visita medica lo fece fuori. A 17 anni trovò un posto da apprendista presso la Henry Hunt and Son’s Engineering, e qui fondò insieme a Eddie Miles, tra una pausa pranzo e l’altra, la Eddie Clayton Skiffle Group, ispirata ai rudi ritmi dello skiffle, appunto, novello canto di disperazione degli scaricatori di porto liverpooliani soprannominato “rock’n roll dei poveri” perché arrangiato con strumenti di lavoro quotidiani, come assi da lavare, ceste del the e manici di scopa, che di “musicale” avevano ben poco. È grazie allo skiffle che il giovane Richard si interessa alle percussioni, suonate con passione, mano pesante e ritmi tribali: nel 1957 arriva la prima batteria, una Premier nera compratagli quasi interamente dal nonno materno, grazie alla quale Richie prende parte a numerosi progetti musicali, collaborando con vari gruppi skiffle locali. Ma il salto di qualità per il giovane batterista dalle brusche cadenze arriva con l’ingresso nei Rory Storm And The Hurricanes, top band di Liverpool in quei primi anni ’60: qui Richie Starkey, ormai ventenne, sarà tenuto a battesimo col suo nome d’arte definitivo dall’amico e collega Rory Storm, che contribuirà anche alla genesi del soprannome, evidenziando il vezzo degli anelli (rings), che Richie indossava spesso e da cui deriva l’appellativo Ring, convertito immediatamente in Ringo, con un tocco “western” che risiede nell’aggiunta della “o” finale.
A questo punto, il cammino di Ringo Starr è già segnato (anche se lui non lo sa ancora): è in tournée con Rory Storm And The Hurricanes (prima in Galles, poi ad Amburgo) che Ringo incontra i Beatles, altra band liverpooliana – ma molto meno famosa e molto peggio pagata degli Hurricanes – a loro volta impegnati in una tournée tedesca. Galeotto fu il Kaiserkeller, potremmo dire. O forse era semplicemente destino; non lo sapremo mai, così come non sapremo mai chi sarebbero stati i Beatles (e se sarebbero esistiti) senza quell’incontro. Insomma: Ringo simpatizza subito coi giovani Beatle, all’epoca “ritmati” da Pete Best, e, al ritorno a Liverpool si diletta spesso a suonare con loro, talvolta sostituendo Best. Poi, nel 1962, dopo un fallito tentativo di emigrazione negli States alla ricerca di un lavoro “vero”, la duplice proposta: Ringo viene “scritturato” dai Beatles, e si trova a davanti alla scelta che cambierà la sua vita. Beatles o Hurricanes? Si racconta che, quando ricevette la “chiamata” dai Beatles, la prima reazione di Ringo fu quella di rifiutare. Poi, dopo un paio di minuti, richiamò. E accettò quella fatidica collaborazione che l’avrebbe reso una “Starr”. Il resto, è storia.
In ogni gruppo che si rispetti non può mancare la figura dell’allegro buontempone: nei Beatles, è stato Ringo rivestire questo ruolo, sia musicalmente parlando che nella vita. La sua batteria aggressiva e scanzonata, i suoi ritmi serrati e quasi completamente privi di tecnica, gli errori – musicali e grammaticali – che diventavano fonte di ispirazione per i “cervelli” del gruppo, Lennon e McCartney (la stessa “Hard Day’s Night” nasce da una licenza poetica “ringhiana”), la leggerezza con cui Ringo affrontava la vita, sempre pronto a dispensare a tutti il suo messaggio di Peace&Love, e che si rifletteva – e si riflette tuttora – nelle melodie disinvolte e nei testi sognanti (basti pensare a “Octopus’s Garden”, per citare uno dei due soli brani composti per i Beatles) delle sue canzoni: il quarto Beatle, nonostante la scarsa considerazione che il vasto pubblico gli riserva, ebbe un ruolo fondamentale nella genesi di un nuovo modo di fare musica firmato Beatles; e al valore artistico, si affianca quello umano di Ringo Starr, benefattore, fondatore della Lotus Foundation a sostegno della Make A Wish Foundation, che si dedica a esaudire i desideri dei bambini malati terminali, e per cui Ringo ha intrapreso svariate campagne di beneficenza, firmando – notizia recente – una serie di spille a edizione limitata per L’Hard Rock Café, oppure semplicemente avverando il sogno di un ragazzino affetto da tumore al cervello, regalandogli la sua batteria. La spontaneità e la mitezza dei suoi sentimenti, nascoste dietro – e apparentemente così contrastanti con – la scorza di “duro picchiatore” (alla batteria), emergono anche nei rapporti coi Beatle successivi allo scioglimento: musicista e cantautore di successo, dedito dagli anni ’90 a oggi al progetto All-Starr Band (il 3 Luglio a Roma), dopo aver suonato insieme ai nomi più illustri della musica contemporanea, da Eric Clapton a Bob Dylan a Elton John, ed essere entrato nella storia di Hollywood ricevendo una stella sulla celeberrima Walk of Fame, Ringo sarà l’unico Beatle a non dimenticare mai i suoi primi, vecchi amici e colleghi – lui solo manterrà, anche dopo quel fatidico 1970, rapporti di amichevole collaborazione con tutti e tre – ricordandoli nel libro Cartoline dai Beatles (2005, Rizzoli), una nostalgica raccolta delle cartoline inviategli dai membri della band corredata da appunti e riflessioni dello stesso Ringo, a testimonianza del legame e del tributo di riconoscenza che univa, e, a distanza di oltre 40 anni, ancora unisce Ringo ai Beatles. A volte, per cambiare una vita, basta una scelta azzardata e un nome d’arte riuscito. E poi, prendere la vita con filosofia, con una sola, semplice norma di vita che Ringo continua ad abbracciare da cinquant’anni: pace e amore.
Giuliana Gugliotti
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