Chissà cosa deve aver provato, Amanda Berry, quando per la prima volta dopo 10 anni è uscita da quella casa che era la sua prigione e ha visto la luce, il mondo là fuori, parlato con qualcuno che non fosse il suo aguzzino o le sue compagne di prigionia. Chissà cosa devono aver provato tutte e tre, Amanda, Gina, Michelle, a tornare libere dopo 10 anni di segregazione. Si pensa che certe cose possano accadere soltanto nella fantasia degli sceneggiatori di telefilm polizieschi, e invece gli Usa ci regalano davvero storie come questa. Come quella di Gina, Amanda e Michelle, 23, 26 e 30 anni, scomparse rispettivamente nel 2004, nel 2003 e nel 2001, quando erano poco più che adolescenti, e ritrovate oggi, vive, in una casa di Cleveland, in Ohio, non lontano dal luogo dove si erano perse all’epoca le loro tracce. Tenute segregate in casa per 10 anni dal loro aguzzino, Ariel Castro, 52 anni autista di scuolabus separato dalla moglie, con una figlia e la passione per il basso. Un uomo apparentemente normale, che dopo 10 anni si rivela essere un mostro.
Lunedì mattina, un lunedì come tanti nella tranquilla Seymour Avenue, la pace e il silenzio della strada residenziale vengono rotti da urla di donna provenienti da un’abitazione. Un vicino, Charles Ramsey, si avvicina alla casa credendo di imbattersi in una scena di violenza familiare. Arrivato alla porta invece incontra Amanda, con una bambina in braccio. Piange, è disperata. Chiede aiuto. “Sono Amanda Berry, sono stata rapita dieci anni fa, la prego chiami la polizia”.
L’uomo non si perde d’animo davanti alla scioccante rivelazione, agguanta il cellulare e compone il 911. Lo passa alla ragazza che ripete al telefono il suo disperato appello. Seymour Avenue si riempie di pattuglie della polizia, e quando gli agenti entrano in casa trovano e liberano, su indicazione di Amanda, altre due ragazze, Gina e Michelle, compagne di un incubo durato 10 anni. Più tardi, ai microfoni della stampa accorsa sul posto, Charles dichiarerà: “Quando una ragazza bianca si butta tra le braccia di un nero capisci subito che ha dei problemi”.
E dei problemi, almeno due delle tre rapite, pare che li avessero in famiglia: motivo per cui la polizia ha inizialmente pensato, almeno in due casi, ad un allontanamento volontario, supposizione che non ha mai permesso agli inquirenti di fare il collegamento tra le tre sparizioni. Michelle Knight, che oggi ha 30 anni, fu la prima ad essere rapita: scomparve vicino casa sua nel 2002. Poi fu il turno di Amanda Berry: l’ultima volta fu vista all’uscita del fast food dove lavorava, il 21 aprile 2003, alla vigilia del suo diciassettesimo compleanno. Infine è toccato a Gina De Jesus, oggi 23enne: scomparsa il 2 aprile 2004, appena 14enne.
Alla fine è toccato ad Amanda il compito di liberare se stessa e le sue compagne di sventura. Sua madre purtroppo non ha potuto riabbracciarla: è morta nel 2006 a causa della malattia che l’ha logorata durante tutti gli anni di estenuanti ricerche della figlia, senza mai darsi per vinta. Sarebbe stata orgogliosa di lei.
Ariel Castro è stato arrestato insieme ai due fratelli, il cui ruolo andrà chiarito dalle forze dell’ordine. Prima d’ora solo una denuncia per violenze domestiche nel 1993, prima della separazione dalla moglie e poco dopo essersi trasferito a Cleveland. Ma sono tanti altri gli aspetti su cui andrà fatta luce: per esempio sul perché le tre donne siano riuscite a fuggire solo adesso, dopo 10 anni di prigionia; su come sia possibile che nessuno dei vicini si sia mai accorto di niente. E ancora sul perché la polizia non abbia continuato a indagare sulla scomparsa delle tre ragazze, nonostante il mancato ritrovamento dei cadaveri facesse giustamente supporre che fossero ancora vive. Su come Ariel Castro sia riuscito a nascondere tre donne e un bambino in casa sua all’insaputa di tutti, presumibilmente anche del figlio che, come riferisce un vicino, di tanto in tanto lo andava a trovare.
A tutti questi interrogativi ci sarà tempo di rispondere. Ma la domanda più pressante, quella che probabilmente rimarrà senza risposta è: perché? E ancora: quante altre donne si trovano, vittime impotenti di una follia incomprensibile, nella stessa situazione di Gina, Amanda e Michelle?
G.G
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