Il 1969 in Italia è l’anno degli scioperi, dei cortei congiunti di operai e studenti. In quello che viene comunemente ricordato come l’Autunno caldo italiano, le rivendicazioni salariali degli operai nelle grandi fabbriche si alleano ai movimenti studenteschi che reclamano il diritto allo studio per tutti. Ma il 1969 è anche l’anno delle bombe. Tra gennaio e dicembre se ne conteranno 145, dodici al mese, una ogni tre giorni circa. Per quasi tutte la matrice è l’estrema destra. L’apice di questa escalation di violenza ha una data, il 12 dicembre 1969, un luogo, Milano, e un’ora ben precisa, le 16,37. Un ordigno, composto da sette chili di tritolo, esplode nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, affollato come tutti i venerdì per la chiusura delle contrattazioni di mercato. Il bilancio è di diciassette morti e ottantotto feriti. Nello stesso momento, altre tre bombe scuotono la Capitale, un quarto ordigno viene trovato inesploso in Piazza della Scala a Milano. Viene subito seguita la pista anarchica, e solo nel corso degli anni si parlerà di terrorismo nero e di una cospirazione che lega ambienti neofascisti veneti a settori deviati dello stato. Ma dopo una vicenda giudiziaria durata oltre 33 anni, la strage resta ancora impunita. Non è stato il “rosso” Valpreda, mentre i “neri” Franco Freda e Giovanni Ventura seppure ritenuti responsabili, oggi non sono più perseguibili perché già assolti.
La bomba di Piazza Fontana è stato uno spartiacque tragico per il nostro paese, dopo quel giorno niente fu come prima. L’Italia perse la sua innocenza sotto i primi colpi di quella “strategia della tensione” che la fece sprofondare nel suo periodo più buio e infamante: gli anni di piombo. Una stagione di violenza, sangue e terrorismo di destra e sinistra, che sarebbe durata per oltre un decennio. L’hanno chiamata “Strage di Stato”, la madre di tutte le stragi italiane che sono venute dopo. “Romanzo di una strage” è invece il nome del nuovo film di Marco Tullio Giordana (in uscita il 30 marzo) che ricostruisce con precisione contesto, fatti e protagonisti di un evento che dopo 43 anni di accuse, ipotesi, rivelazioni, depistaggi, insabbiamenti, processi e sentenze non ha ancora una verità giudiziaria accertata. Ma la verità storica, nonostante tutto, è riuscita ad emergere in questi anni ed il film di Giordana si assume la responsabilità di portarla a conoscenza soprattutto alle nuove generazioni, che ignorano cosa abbia rappresentato la strage e pensano ancora che a piazzare le bombe furono le brigate rosse. Oggi, grazie agli atti processuali ma non alle sentenze, sappiamo che non è così. Sappiamo invece che la strage di Piazza Fontana fu un diabolico intreccio di apparati deviati dello stato, ambienti eversivi di destra, e servizi segreti italiani e stranieri, mirante ad una svolta autoritaria nel paese che destabilizzasse la democrazia impedendo uno spostamento del paese troppo a “sinistra”.
Il film di Giordana ripercorre in cronaca romanzata quel triennio che cambiò l’Italia, dall’autunno caldo del 1969 all’omicidio del commissario Luigi Calabresi, avvenuto nel maggio del 1972. Dentro c’è un po’ di tutto, dalla ricostruzione della strage alla successiva indagine, la pista anarchica, la morte misteriosa di Pinelli “caduto” da una finestra della Questura durante il suo interrogatorio, l’arresto di Valpreda a seguito del dubbio riconoscimento del tassista Cornelio Rolandi, la cospirazione tra il SID e i neofascisti veneti, le pressioni politiche e istituzionali, i tentativi di Golpe, la strana morte dell’editore rosso Feltrinelli. Il racconto si dipana lineare, diviso per capitoli. Ad ogni capitolo c’è un tassello in più da scoprire di questo intricato puzzle, un po’ come il libro inchiesta del giornalista Paolo Cucchiarelli “Il segreto di Piazza Fontana”, dal quale è partito il regista de La meglio gioventù per scrivere la sceneggiatura assieme a Stefano Rulli e Sandro Petraglia.
La regia è lucida, onesta, non dà giudizi né lancia accuse e in due ore semina tante ipotesi, alcune anche fantasiose come quella della doppia bomba (una anarchica a basso potenziale, messa da Valpreda a scopo dimostrativo, e quella stragistica piazzata dai neofascisti di Ordine Nuovo per incastrare gli anarchici), senza mai però sposarne una soltanto. Lo sguardo di Giordana è immune da ogni spettacolarizzazione del dolore e della violenza (la scena dell’esplosione la vediamo dall’esterno, e anche le morti di Pinelli e Calabresi avvengono sempre fuori scena). Gli unici scandagli emotivi di quei giorni bui che il regista ha l’ardire di concedersi sono anche i due personaggi chiave attorno al quale è costruito narrativamente il film: Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino) e Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea). Il ferroviere anarchico e pacifista che ripudiava la lotta armata, e il commissario intransigente e onesto consapevole di far parte di un ingranaggio sbagliato. Li osserviamo nell’intimità delle loro famiglie, al fianco di donne amorevoli, forti e composte, e in quel loro strano rapporto fatto di stima e rispetto reciproco nonostante gli eventi li metteranno per un momento l’uno contro l’altro. Oggi il nome di Giuseppe Pinelli si trova nell’elenco ufficiale delle vittime del terrorismo, perché come ha ricordato il presidente Giorgio Napolitano qualche anno fa, Pinelli è la 18esima vittima di Piazza Fontana. Il film di Giordana ci ricorda fino alla fine che Calabresi è stata la 19esima, vittima due volte, di una ingiustificata campagna di odio e disinformazione prima – è stato ormai accertato che Calabresi non era nella stanza quando Pinelli precipitò -, dei colpi di pistola sparati da estremisti di sinistra poi. E di più, tra le righe possiamo leggere anche il nome della 20esima. Di chi in quel ’69, aveva già compreso il pericolo di questa «nuova minaccia»: Aldo Moro (Fabrizio Gifuni), ucciso dalle Br nel ’78.
Enrica Raia
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