Mia madre dice sempre: “Dietro a ogni grande uomo, si nasconde sempre una grande donna”. E la storia le dà ragione, o meglio, questo suo dire rende ragione della storia: innumerevoli sono le figure femminili che la Grande Maestra ha oscurato, lasciandole nascoste dietro le quinte dei grandi eventi, quasi sempre diretti da registi uomini. E paradossalmente, la storia della psicoanalisi è forse quella che in minore misura ha dato lustro alle sue donne, che pure hanno contribuito nell’ombra a tracciarne i percorsi e segnarne le svolte, forse più che in tutti gli altri ambiti della conoscenza umana. La grande esclusa dalle luci della ribalta psicoanalitica si chiama (una per tutte) Sabina Spielrein: la “piccola” – come Jung, suo analista, mentore e amante amava definirla – autrice che ha dato una svolta al pensiero psicoanalitico contribuendo alla formazione dei concetti fondamentali di controtransfert e sadismo. Una pioniera della psicoanalisi sulla cui opera, indistricabilmente legata alla sua vicenda personale, il velo del silenzio è calato a lungo, il cui nome ancora oggi continua a essere disconosciuto, eclissato dall’eco più pervasiva degli altisonanti nomi dei suoi maestri e colleghi maschi: Carl Gustav Jung e Sigmund Freud stesso.
Sabina Spielrein nasce a Rostov (1885) da una benestante famiglia di ebrei russi: bambina fortemente preoccupata da tematiche anali e falliche, adolescente psicotica traumatizzata dalla morte della sorella e digiuna di relazioni approda, poco più che diciottenne, alla clinica Burgholzli di Zurigo, dove un giovanissimo C. G. Jung, all’epoca zelante allievo di S. Freud, inaugurerà insieme a lei, per la prima volta fuori dalla Vienna freudiana, il nascente metodo della Talking Cure, meglio noto come metodo delle libere associazioni. Avviene così l’incontro che cambierà la storia della loro vita, nonché quella della psicoanalisi. Guarita, Sabina Spielrein si iscriverà alla facoltà di Medicina, laureandosi con una innovativa tesi sulla schizofrenia; nello stesso anno entrerà a far parte della Società Psicoanalitica di Vienna, per poi applicare gli insegnamenti ricevuti nell’apertura del famoso ma sfortunato Asilo Bianco di Mosca, che sarà dichiarato, come la psicoanalisi tutta, fuorilegge dal regime stalinista. La Spielrein morirà (1942) in una sinagoga a Rostov, la sua città natale, fucilata dai nazisti insieme alle figlie e a un centinaio di altri ebrei russi.
La relazione amorosa tra Jung e Sabina, iniziata subito dopo la sua guarigione, durò sette anni, concludendosi in una dolorosa capitolazione che ebbe un solo vincitore: la emergente scienza psicoanalitica. A testimonianza di quella relazione clandestina, a lungo misconosciuta, oggi restano soltanto alcune lettere, recuperate tre decenni dopo la morte della Spielrein dagli scantinati della clinica Burgholzli di Zurigo. Lettere che portano alla luce l’esistenza di un triangolo di relazioni che vede protagonista, insieme a Jung e Sabina, anche lo stesso padre della psicoanalisi: in queste lettere, raccolte da Aldo Carotenuto in Diario di una segreta simmetria. Sabina Spielrein tra Jung e Freud (1980), – da cui si è dipanata tutta una serie di produzioni artistico-letterarie e cinematografiche che hanno gettato nuova luce sul personaggio di Sabina – Jung confida al suo mentore la relazione con Sabina nei termini di una ossessione che la giovane donna nutre nei suoi confronti, esplicitatasi più volte in tentativi di seduzione a cui egli afferma di non aver mai ceduto: Jung tenterà in tal modo di proteggere la propria reputazione agli occhi del Maestro e dell’intero ambiente psicoanalitico; una versione dei fatti che viene però ampiamente smentita dalle lettere d’amore che Jung stesso inviò a Sabina durante i lunghi anni di illegittima frequentazione. D’altra parte Freud, posizionato al vertice di quel triangolo che ha inghiottito e sepolto lo scandaloso affaire Spielrein, intrattiene contemporaneamente una duplice, ambigua corrispondenza sia con Jung che con Sabina, dalla cui storia elaborerà peraltro il concetto di controtransfert – l’attaccamento che il medico sviluppa nei confronti del paziente: egli è certo della veridicità delle voci che circolano a proposito di una relazione extraconiugale del suo giovane amico Jung, relazione che gli viene confermata anche dalla stessa Spielrein, e tuttavia tenta di proteggere e confortare l’allievo: “Essere calunniato e rimanere scottati dall’amore con cui operiamo, sono questi i pericoli del nostro lavoro, a causa dei quali però non abbandoneremo certo la professione”. In quegli anni di scombussolamento, Freud, ebreo, aveva bisogno di Jung, ariano, stimato professionista, per accreditare la propria dottrina presso gli ambienti medici e accademici. E il “caso Spielrein” ne avrebbe completamente distrutto la reputazione.
Il progresso scientifico viene prima di ogni altra cosa: e nella storia della psicoanalisi non c’è spazio per la donna innamorata, se non relegata nel ruolo che continua ad esercitare il fascino della subalternità: quello della paziente. Sabina Spielrein diventa allora la paziente molesta, l’amante nevrotica, l’isterica mai guarita che scambia l’interesse medico per attrazione, l’affetto paterno per passione, la pietà per amore. L’affaire Spielrein era troppo scottante perché potesse venire a galla. Come in una moderna soap-opera, la relazione tra Jung e Sabina verrà infossata, grazie alla connivenza del Maestro Freud, trascinando con sé la figura di Sabina Spielrein, come donna, ma anche e soprattutto come precorritrice di molte successive intuizioni e scoperte, che verranno impropriamente attribuite ad altre personalità meno scomode della storia della psicoanalisi.
Giuliana Gugliotti
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