È sempre difficile parlare di Scampia. Chi ne parla male, enfatizzandone soltanto il degrado, la camorra, lo spaccio di droga e i morti ammazzati per la faida, pecca di ignoranza. E quando scrivo ignoranza mi riferisco al significato non dispregiativo del termine: chi parla di Scampia sottolineandone solo gli aspetti negativi e rendendo il quartiere ricettacolo dei mali della Campania, semplicemente non conosce – ignora, appunto – la gran parte dei suoi abitanti, cittadini onesti, che, ogni mattina, al suono della sveglia, si alzano dal letto per recarsi al lavoro – un lavoro onesto – e provvedere al sostentamento della propria famiglia; ignora il grande fermento delle associazioni che, da anni, operano sul territorio e i servizi da esse offerti per la crescita socioculturale del quartiere; ignora la possibilità di condurre una vita normale in un quartiere come Scampia.
D’altro canto chi ne parla esclusivamente bene, rischia di essere etichettato come un folle: impossibile negare le criticità e le problematiche che sono parte del quartiere stesso; impossibile eludere la realtà della camorra e dimenticare il grande lavoro svolto dalle forze dell’ordine negli ultimi mesi, per smantellare le piazze di spaccio finora gravate su Scampia; impossibile rimuovere anni e anni di cattiva politica che ha contribuito inevitabilmente a rendere il quartiere ciò che è oggi.
È sempre difficile parlare di Scampia. Eppure, di Scampia parlano tutti: giornali, Tv, opinionisti esperti e meno esperti che hanno finito per cucire sul quartiere – e indirettamente sui suoi abitanti – una nomea inadeguata e spiacevole. Scrive il sociologo Domenico Pizzuti nel suo libro “Le due Napoli”: “Il quartiere Scampia è un esempio da manuale di stigmatizzazione mediatica volente o nolente di un’ intera popolazione, con il supporto talora di una letteratura realistica, in riferimento al degrado urbanistico e sociale, al radicamento di gruppi della criminalità organizzata sanguinaria, al traffico della droga che devasta visibilmente giovani vite. Ignorando la quasi totalità della popolazione onesta che soffre di questo stigma sulla propria pelle che ritiene ingiusto. E’ tempo di aggiornare l’immagine di Scampia”.
Purtroppo, il riattivarsi dei conflitti interni ai clan della zona per il controllo del quartiere e l’interesse quasi morboso dei mass media – che corrono a visitare le scuole di Scampia solo quando possono dipingere il loro racconto di cronaca nera a tinte forti, mettendo da parte il grande lavoro pedagogico che le agenzie educative fanno su questo territorio – rendono difficile un “restyling” dell’immagine del quartiere. Ed è proprio intorno a questa tematica che si innesta la querelle di questi giorni, che, con Scampia sullo sfondo, vede protagonisti il presidente dell’VIII municipalità Angelo Pisani, la società di produzione Cattleya e lo scrittore Roberto Saviano.
Pisani ha, infatti, diffidato la Cattleya, che ha acquisito i diritti del romanzo “Gomorra” per farne una fiction Sky, a trasformare nuovamente Scampia in un set televisivo per una storia di camorra, negando “qualsiasi autorizzazione allo sfruttamento di immagini e luoghi in danno del territorio” perché “enfatizzare sempre e soltanto le cose negative, che naturalmente ci sono non risolve nulla, anzi peggiora i problemi e conferma il marchio d’infamia che suo malgrado Scampia si tira addosso”.
Dura la replica del produttore Riccardo Tozzi, che ha sottolineato come la fiction “sia quanto di più lontana dalla rappresentazione positiva della camorra”, così come quella dello scrittore Roberto Saviano che ha parlato di censura, dichiarando che “non è censurando, bloccando una fiction che si dà più luce alla parte sana di Scampia”.
Viene da chiedersi per quale motivo è proprio in questo periodo, già tanto complesso per il territorio, che si riaccendono i riflettori sulla Scampia di Gomorra. E perché, oggi, si accende una polemica così aspra, mentre non c’è stata alcuna difesa dell’immagine del quartiere, da parte delle istituzioni locali, di fronte alle innumerevoli speculazioni mediatiche che mostrano di Scampia la stessa immagine che la serie Gomorra potrebbe diffondere attraverso la finzione.
Forse se è sempre difficile parlare di Scampia è anche perché troppo spesso si fa labile il confine tra la strumentalizzazione del territorio e la volontà di tutelarlo.
Sara Di Somma
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