Era il 1979 quando il governo americano intervenne con una legge per vietare la pratica disumana della sterilizzazione forzata. Oggi un nuovo scandalo ha investito due delle strutture carcerarie più grandi in California. Secondo il Center for Investigative Reporting (Cir), sarebbero circa centocinquanta le detenute a cui è stato riservato questo trattamento tra il 2006 e il 2010. Quelle degli anni Novanta sono almeno altre cento, trasgredendo così alle leggi carcerarie.
L’accesso al database ha fatto saltar fuori il nuovo scandalo delle carceri americane, già note per le violenze e per gli abusi di potere che sfociano in atti deplorevoli. Dal 1979 sono state bandite le sterilizzazioni forzate permanenti sui detenuti, malati psichici e poveri – e oggi è possibile solo attraverso un permesso speciale rilasciato dallo stato a seguito di un lungo iter burocratico.
“Emergenze sanitarie”. Questa la motivazione sulle cartelle cliniche di alcune detenute, un fuorviante compromesso dei medici per eseguirle senza autorizzazione governativa. I racconti delle stesse vittime è agghiacciante quando descrivono le violenze subite affinché non si opponessero alla procedura forzata, obbligatoria e permanente. Il database riporta anche i costi di questo scandalo. Essendo interventi ordinari per un’improvvisa emergenza sanitaria da contenere, i costi – a carico dello stato della California – oscillano intorno i 147.000 dollari. Secondo uno dei medici interrogati: «In un periodo di dieci anni non si tratta di una cifra esagerata, ed è inferiore a quanto si spenderebbe per mantenere bambini indesiderati». L’intenzione – di per sé – non risulta malvagia se non nella messa in pratica. Sembra, infatti, che non siano state prese in considerazione misure preventive alternative per non incorrere in gravidanze difficili da portare avanti in una struttura carceraria.
Fu la discriminazione etnica a dare il via a questa pratica. Ventimila donne latinoamericane sono state sterilizzate per questioni di “pelle” negli Stati Uniti, tutti interventi avallati da leggi statali. Bastava un cognome ispanico per autorizzare le istituzioni californiane ad operare sulle donne della famiglia. Secondo uno studio condotto dall’Università del Michigan, la discriminazione colpì le afroamericane in North Carolina e le indigene in Canada. Una “selezione”, quella praticata dagli americani, ben poco naturale se si considerano le richieste prevenute da trentadue stati Usa per autorizzare le sterilizzazioni forzate. Una donna su tre ha subito questo intervento, tutte per una motivazione a sfondo discriminatorio-razziale. Il caso riportato da Alexandra Minna Stern, professoressa di ginecologia e ostetricia, sulla famiglia di JR e dei suoi tre figli è emblematico. Risale al 1931 ed è stato sottoscritto da Fred Butler, sovraintendente di Sonoma: «è necessario sterilizzare i tre figli per impedire la riproduzione della loro specie dalla mentalità difettosa».
Roberta Santoro
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