La comunicazione narrativa contemporanea, collocata temporalmente negli ultimi venti anni, è plurivoca e multilineare: i grandi romanzi e film contemporanei hanno strutture che assomigliano molto di più a ipertesti piuttosto che a semplici racconti classici. Nel testo classico, infatti un narratore veicolava il racconto in direzione di un narratario, cioè di un lettore, mentre nel testo contemporaneo si tende a moltiplicare questa univocità di comunicazione narrativa in tante comunicazioni narrative sovrapposte.
Si intende che nel racconto narrativo contemporaneo, letterario o cinematografico che sia, convivono tanti narratori che comunicano con altrettanti interlocutori.
Questo fa sì che si crei una moltiplicazione delle voci, quindi una plurivocità e una moltiplicazione dei plot, cioè degli intrecci, delle storie raccontate, e quindi una multi linearità. Short Cuts è un film americano del 1993 diretto da Robert Altman, tratto “liberamente” dai racconti di Raymond Carver, dallo stile asciutto, maestro della narrativa breve e capostipite del minimalismo letterario americano. Girato da una sceneggiatura di Altman e Frank Barhydt, ispirato da nove racconti e una poesia di Raymond Carver, il film racconta le azioni di 22 personaggi principali, sia in parallelo e in occasionali punti sciolti di collegamento.
I ruoli del caso e della fortuna sono fondamentali per il film e molte delle storie riguardano la morte e l’infedeltà.
Il film è stato premiato con il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia e con la Coppa Volpi. Nel suo Paese, Altman ha ricevuto solo nomination ma non riconoscimenti, forse perché nella trasposizione cinematografica è stato troppo impietoso nel rappresentare lo sfascio del sogno americano.
La traduzione del titolo Short Cuts in italiano è “America oggi”, questo perché Altman ci mette di fronte allo specchio della società americana postreaganiana. Ma la trasposizione del titolo sulla locandina italiana del film non è stata così rappresentativa come la versione americana. Infatti nella versione originale i personaggi protagonisti del film sono tutti rappresentati e la loro ombra è il titolo Short Cuts.
In Italia si è optato per una scelta diversa, una scelta che ha amplificato gli stereotipi americani: un’aquila con un fucile puntato contro lo spettatore. Altman, non voleva fare una puntuale trasposizione cinematografica dei racconti di Carver, in quanto separati tra loro, ma si è divertito a metterli in relazione ampliando, intrecciando e mescolando le storie dello scrittore americano, ambientate a Seattle, dando vita ad una visione di Los Angeles e della vita della classe media della provincia americana molto triste, patetica, vuota ed insignificante, talvolta opprimente. In “America Oggi” non c’è sogno nè allegria, è uno spaccato amaro, senza speranza, della società americana. I personaggi, descritti in modo molto semplice, vittime della loro stessa esistenza, conducono vite apparentemente normali dietro le quali, però, si celano bisogni insoddisfatti e l’assoluta mancanza di veri sentimenti e valori condivisi. Il passaggio da una storia all’altra da la sensazione di navigare in un ipertesto, linkando da un argomento all’altro senza alcuna corrispondenza causale. Le inquadrature nel film sono brevi e veloci, infatti passano dal generale al particolare, privilegiando quasi sempre il mezzo primo piano e il primissimo primo piano: inquadrature che valgono più di mille parole. E’ come se Altman osservasse e ascoltasse i protagonisti da dietro un vetro, zoomando sull’espressione o allontanandosi dal gesto di qualcuno di loro, attento a non far sentire la sua presenza.
Sembra, quasi che non siano gli attori ad attivarsi quando si dà
il CIAK, ma che sia la telecamera a entrare e uscire di nascosto nei loro animi e nelle loro vite, crude e crudeli, cominciate sul set e che sembrano proseguire al di fuori. Nel film vengono messi in scena i personaggi di una famiglia dietro l’altra, per la maggior parte costituite da coppie giovani, spesso con più di due figli, un impiego di tutto rispetto, una bella casa con giardino e un cane: insomma una “normale” famiglia americana. Dietro questa scontata quotidianità, celebrata da cene tra amici e picnic all’aperto, si celano però tradimenti, morte e delitti sempre causata da eventi tragici. Si ravvisa il minimalismo di Carver nella descrizione dei racconti, che ruotano tutti attorno ad un evento destinato a cambiare la vita ai personaggi anche nella versione cinematografica. Durante la visione del film la mia attenzione non è mai venuta meno, sono stata assorbita completamente sin dalle prime scene e, avendo letto precedentemente tutti i racconti dai quali poi è stato tratto il film, cercavo di scavare nella mia mente per capire quale fosse il racconto corrispondente. Il film è molto lungo, dura tre ore circa ma scorrevole, nonostante il continuo intrecciare le trame dei racconti di Carver e i personaggi di Altman. Lo stile è sempre catastrofico che segna sia l’inizio che la fine del film in modo spettacolare: si apre con un’inquietante squadriglia di elicotteri che irrora insetticidi contro la mosca della frutta e termina con un terremoto. Collegare quindi gli intrecci cercando di non perdere di vista il nucleo della narrazione: la rappresentazione di una società ordinaria, sospesa tra gesti quotidiani, fobie, ossessioni, apatie che nascondono una violenza devastante.
Attraverso le “Scorciatoie” (una delle traduzioni di “Short Cuts”) i protagonisti cercano di portare a casa la giornata, apparentemente senza coinvolgimenti emotivi. Sembra quasi che i protagonisti lascino aperte delle porte per lasciare a noi spettatori la scelta di varcarle o rimanere indifferenti. L’intreccio di Altman tra racconti e poesia di Carver, con ambientazione e scene spesso personalizzate, è rafforzato dall’originalità della versione cinematografica che crea una continuità di link, di connessioni tra gli stessi: sembra di navigare su una pagina Web!
Il racconto, il cui arco temporale diegetico ha la durata di quattro giorni, scorre attraverso continui link che ci spostano da una storia all’altra, è una rete, è una realtà virtuale. Altman fa dei continui rimandi alla rete e alla virtualizzazione della realtà, facendolo spiegare alla mamma (Lois Kaiser) che offre prestazioni hot via telefono ma anche facendo indossare a Robert Downey Jr, alla fine del film, una T-shirt con la stampa del logo del browser di navigazione Explorer. È una narrazione immersa nella contemporaneità che si serve di questi collegamenti per offrire allo spettatore una visione infinita. Un realismo ottenuto anche dalla fotografia che usa luci naturali, nulla appare artificiale. Non ci sono sconti ed il risultato è che la storia appare drammaticamente vera senza un lieto fine. Il film si conclude con un terremoto, non tanto violento da far cadere giù edifici, ma abbastanza avvertibile da fermare per qualche istante tutti i protagonisti, in ascolto, a testimonianza che nulla può modificare i precari equilibri ai quali sono aggrappati i protagonisti, nemmeno un evento catastrofico.
PATRIZIA DIOMAIUTO
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