Mai provato ad avere un gruppo a Napoli? Mai provato a suonare in giro per locali?
Svesto la figura del cronista e indosso quelli trasandati e sporchi di birra del musicista che da anni (forse troppi) si barcamena tra proprietari di locali cinici, di combutte, di cattiva predisposizione tecnica in molti casi, di baratti etruschi e di compromessi.
Suonare nelle nostre zone spesso significa essere dei moderni Don Chisciotte e combattere contro mulini a vento valvolari, dove se te la cavi bene esulti per non aver preso la scossa davanti al microfono a causa di cattivi impianti di amplificazione e di palchi che non esistono.
Abbiamo chiesto ad un musicista che ha esperienza in merito di analizzare il problema con noi de “La Rosa Nera” ed ecco cosa ne è uscito fuori.
Credo che la verità sia nel mezzo. Mi spiego meglio. Da una parte, soprattutto per quanto riguarda le band emergenti, il panorama musicale partenopeo non presenta chissà che grosse rivelazioni. C’è qualche gruppo che fa qualcosina di carino, ma nulla di così esaltante. D’altra parte i gestori non fanno nulla per favorire le giovani band che vogliono mettersi in “vetrina”. Spesso i locali non sono proprio, logisticamente parlando, predisposti alla musica live. Di certo non siamo a Londra, lì la storia è tutt’altra.
Discorso diverso per le tribute band, ce ne sono alcune che vanno forte nonostante la logica “restrittiva” dei gestori napoletani… Fortunatamente nella provincia e nei capoluoghi vicini la “musica” è diversa.
Dipende dal seguito. Dipende se il locale è già fornito del minimo sindacabile per mettere su un live. Dipende dall’importanza della band. Dipende dall’importanza del locale stesso e dalla benevolenza del “direttore artistico”. Insomma, sono una serie di fattori che miscelati danno la soluzione.
A chi i ricavi? Beh a entrambi. Il problema però è questo. Se una band chiamata “X” va a suonare nel locale “Y” per (esempio) 300 euro ed il locale “Y” si riempie in modo da far schifo… beh, a fine serata il gestore ti sorriderà (e non è garantito), ti ringrazierà e ti darà esattamente la somma pattuita (nessun premio per la serata venuta bene insomma). Se invece la serata del gruppo “X” va “male” perché viene poca gente, il gestore del locale “Y” ti eviterà in tutti i modi (facendoti pagare anche quel panino misero e la birretta da 33cl) e a fine serata ti dirà con sguardo da “paternale “Non vi siete impegnati abbastanza per la gente, eh? Posso darvi al massimo i soldi per le spese”, fregandosene altamente della performance della serata. Se poi si è fortunati e il gestore “Y” è cordiale vi dirà anche “però recuperiamo con un altra data”.
Per farla breve, chi vince è sempre il banco.
E qui mi riaggancio al discorso di sopra. Sembra che i musicisti siano diventati dei PR. Pochi sono i gestori che si affidano una seria e programmata sistemazione dei live. E guarda caso i locali che usano questa logica sono quelli che vanno più forte.
Inoltre insisto nel dire che la maggior parte dei locali non sono predisposti per la musica live. Non c’è bisogno neanche di andare fino a Londra, basta spostarsi di 200 km, a Roma TUTTI i locali che fanno musica sono stati fatti con un certo criterio: chi entra sa che va ad ascoltare musica!
Decisamente no. Ma questo credo succeda un po’ dappertutto. Penso ai grandi: Elvis era geloso che i Beatles stessero mettendo radici anche in USA. Figuriamoci quando la torta è piccolissima, ci si batte con ancora più foga per riuscire a rubarne una briciolina.
E’ una logica sbagliata, considerando soprattutto che siamo tutti noi (musicisti) sulla stessa barca. Dovremmo unire gli intenti piuttosto che farci battaglia ed usare sotterfugi per metterci i bastoni tra le ruote.
Ovviamente esistono le eccezioni. Ma credo sia una cosa rara.
Marco Della Gatta
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