Personalità forte e volitiva, da buon italiano. Un fascino caparbio, quello di Frank Sinatra, altrimenti noto come “The Voice”, la Voce più bella di un secolo intero. Ma anche una vita piena di contrasti e ombre, fra tutte la fama da irriducibile donnaiolo e la più volte ipotizzata connivenza con la mafia d’oltreoceano.
Frank Sinatra non è solo The Voice: è soprattutto un uomo che ha saputo ben giocare le sue indiscutibili carte, la potenza carismatica delle sue corde vocali e l’ammiccante malia dei suoi occhi blu, unite a un portamento inconfondibile, per assurgere all’Olimpo delle stelle intramontabili. La sua carriera artistica è una passeggiata da equilibrista, sospesa a mezz’aria sul filo sottile del talento (con qualche strafalcione, ma senza nessuna caduta clamorosa) e sullo sfondo delle aspettative di una società post-bellica che si accingeva a ricostruire il mito del self-made-man e soprattutto aveva bisogno di svago, evasione e magia.
Frank Sinatra (1915-1998) ha saputo regalare all’America un sogno: ha cavalcato l’onda girandola a suo favore, con la grazia che solo quel cipiglio fiero e sornione – tutto italiano – poteva donargli. Figlio di immigrati, padre siciliano, pompiere e pugile dilettante, e madre ligure, una levatrice che praticava aborti clandestini, Frank “Scarface” – soprannome dovuto a una cicatrice che gli solcava la guancia sinistra, forse un ricordo del forcipe – sviluppa ben presto una dote che in seguito gli tornerà estremamente utile. La necessità aguzza l’ingegno, si dice; ma la povertà aumenta oltremodo la capacità di adattamento, e già da giovanissimo Sinatra si dimostra un tipo estremamente flessibile. La passione per la musica la scopre subito, a sedici anni ha già formato la sua prima band, i Turk. La sua massima aspirazione è cantare, tuttavia non disdegna di impiegare (che spreco!) la sua indiscutibile dote vocale come strillone. Lavora come commesso in una libreria e come scaricatore di porto. La fatica non lo spaventa: le sue origini sono umili, e la Grande Depressione non ha certo contribuito a migliorare la situazione economica della famiglia.
Appena maggiorenne si trova a dover bastare a se stesso: cacciato di casa dal padre, che non approva le sue inclinazioni artistiche e tenta di indirizzarlo verso un duro ma onesto lavoro, Frank raggiunge New York pieno di belle speranze: sono le fermenti atmosfere dei “ruggenti” anni Venti a fargli venire in mente l’idea di trasformare il suo talento in una fonte di guadagno. Inizia così una lunga gavetta fatta di interminabili serate nei club, svariate risse – che gli costarono anche una denuncia per molestie alla donna che poi diventerà sua moglie, Nancy Barbato – tre ore di sonno per notte, due pacchetti di sigarette fumati e una bottiglia di Bourbon scolata. Mentre in Europa ribolle l’agitazione socio-politica che erutterà nella Seconda Guerra Mondiale, dall’altra parte dell’oceano l’incandescente favilla di Frank Sinatra si fa strada negli impervi terreni musicali al confine tra il jazz e il pop: negli anni Quaranta si unisce all’orchestra di Tommy Dorsey, un quanto mai opportuno trampolino di lancio sulla scena internazionale che però Frank non si fa scrupolo di segare all’occorrenza. Una vicenda controversa, che vede palesarsi sullo sfondo l’ombra molesta della mafia americana, nella persona del boss Willie Moretti, cui Sinatra avrebbe fatto appello per essere affrancato dalla collaborazione con Dorsey e siglare un contratto con la Columbia Records: comincia allora la scalata di Sinatra verso le vette – di successo e di classifica. L’America del Dopoguerra ha bisogno di ritrovare la perduta spensieratezza: con i suoi brani orecchiabili dall’impalcatura jazz inframmezzata da sonorità pop e la sua voce calda e seducente, quasi rassicurante, Frank Sinatra si conquista il favore di un pubblico amplissimo, non senza la “spintarella” di George Evans, suo manager, che assoldava, agli inizi, ragazzine urlatrici che si strappassero (letteralmente) i capelli ai suoi concerti – tattica peraltro riutilizzata con eguale successo da Brian Epstein per i Beatles.
I Quaranta sono gli anni di consacrazione del mito, quelli dei palcoscenici e del cinematografo, ai quali segue inevitabilmente un periodo di declino. I bui anni Cinquanta, quelli faticosi della lenta ripresa sociale e degli entusiasmi smorzati, aspettano Frank Sinatra con un collasso vocale, la scadenza del contratto con la Columbia, la rottura con Nancy Barbato a causa della travolgente, distruttiva passione per Ada Gardner e una forte crisi emotiva che lo spinge per ben tre volte al tentato suicidio. Frank Sinatra è sulla bocca di tutti: stavolta però non è la sua voce a fare scalpore, ma i pettegolezzi sui suoi flirt, la sua eccentricità amorosa e la sua inclinazione rissosa che gli costa l’arresto. Ancora una volta pare sia la mafia a mettere tutto a tacere: dopo il meeting a l’Avana – in cui avvenne la presentazione ufficiale del cantante a Lucky Luciano – i rapporti di Sinatra con i boss mafiosi non sono più soltanto un chiacchiericcio infondato. Unica luce in un periodo decisamente oscuro della sua vita è l’Oscar come migliore attore non protagonista per Da qui all’eternità (1953). Ma una nuova primavera attende l’irriducibile Sinatra al giro di boa degli anni Sessanta: il matrimonio (il terzo, da cinquantenne) con Mia Farrow, nonostante la breve durata biennale, è una vera e propria ventata di freschezza che s’allinea perfettamente a un’atmosfera culturale che si sta preparando al sorgere del movimento pacifista. Ancora una volta Frank Sinatra, l’italiano scaltro e dandy, statunitense d’adozione, interpreta e rivive – privatamente e musicalmente – gli stati d’animo di un’intera nazione. I Sessanta sono gli anni di Strangers in the Night e My Way, forse i suoi più famosi successi.
La leggenda vivente di Frank Sinatra si consolida nei decenni a venire: i Settanta e gli Ottanta sono gli anni delle tournée in tutto il mondo e della (relativa) pacificazione di una vita sentimentale alquanto burrascosa grazie al matrimonio – l’ultimo e il più duraturo – con Barbara Marx. Ma la stampa continua ad attribuirgli tutta una serie di “celebri” flirt, da Marilyn Monroe alla giovanissima Kate Moss – lei stessa ricorda il bacio con un ottantenne Sinatra come il più bello della sua vita. Affezionato al proprio successo ma senza mai strafare, Frank Sinatra è restio a ritirarsi a vita privata. La sua genuina generosità – altro tratto tipicamente italiano – non vuol privare il mondo del conforto della sua voce: continua a calcare i palcoscenici fino agli anni Novanta, ed è sulla scena che la sua stella si consuma lentamente, il corpo logorato da tre infarti, un ictus e un cancro, per spegnersi infine in una casa al mare, a Malibu, dopo ottantatre anni di intenso luccichio. Lo stesso brillio che, in suo onore, accese di luce blu – come il colore dei suoi occhi – l’Empire State Building di New York nella notte della sua morte. Un omaggio alla carriera di un grande artista, ma soprattutto di un personaggio controverso e di un uomo sotto molti aspetti ambiguo, di cui si può dire e si è detto di tutto, tranne che non abbia vissuto appieno, “a modo suo”.
Giuliana Gugliotti
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